Che
cosa avete capito della crisi ucraina?
Verosimilmente che il popolo
ucraino si è ribellato contro un presidente arrogante e autoritario,
Viktor Yanukovich, il quale ha cercato di reprimere la protesta,
uccidendo decine di persone, ma che alla fine è stato destituito.
La
Russia si è arrabbiata e per ripicca ha invaso la Crimea.
Confusamente
tu, lettore, avrai capito che il popolo vuole entrare nell’Unione
europea, mentre Yanukovich e, soprattutto, Mosca si oppongono.
Fine.
La
realtà, però, è un po’ diversa e assai più interessante.
Per capire
cosa stia succedendo davvero occorre partire da un po’ più lontano, da
una ventina d’anni fa, quando una delle menti più raffinate
dell’Amministrazione Usa, Zbigniew Brzezinski – ancora oggi molto
influente – indicò nell’Ucraina un Paese fondamentale nei nuovi
equilibri geostrategici; da sottrarre alla Russia e portare nell’orbita
della Nato e dell’America. Allora iniziò una grande partita a scacchi
tra Washington e Mosca. Anzi, una lunga guerra, combattuta con armi non
convenzionali.
Ad
esempio usando le “rivoluzioni pacifiste”.
Il metodo si ispira alle
teorie dell’americano Gene Sharp e fu applicato per la prima volta in
Serbia nel 2000 in occasione della caduta dell’allora presidente
Slobodan Milosevic.
Funziona così:
Proteste di piazza in apparenza
spontanee sono in realtà pianificate con cura e guidate per il tramite
di Organizzazioni non governative, Associazioni umanitarie e partiti
politici; in un crescendo di operazioni pubbliche amplificate dai media
internazionali e con appoggi all’interno delle istituzioni, in
particolare dell’esercito, che finiscono per provocare la caduta del
“tiranno”.
L’esperimento serbo piacque molto al Dipartimento di Stato
che decise di sostenerlo altrove: nel 2003 in Georgia (Rivoluzione delle
Rose) e l’anno dopo in Ucraina, quando, a Natale, il candidato
progressista Viktor Juschenko (ricodate? Quello col viso butterato)
sconfisse in piazza proprio Yanukovich, durante la Rivoluzione
arancione.
Un
capolavoro, che però, risvegliò Putin, il quale si accorse di tali
metodi e, ossessionato dal timore che potessero essere usati nelle
strade di Mosca contro di lui, avviò la “nuova guerra fredda” con gli
Stati Uniti. I rapporti da cordiali divennero glaciali. E i suoi servizi
pianificarono la riconquista dell’Ucraina, usando, a loro volta,
strumenti non convenzionali quali ricatto del gas, sabotaggio
dell’economia, disagi sociali, tecniche spin per demotivare e indebolire
i partiti della coalizione arancione. Risultato: nel 2010 Yanukovich fu
eletto presidente e l’Ucraina lasciò l’orbita americana per tornare in
quella russa.
Arriviamo
così ai giorni nostri, con l’emergere di un’ulteriore, sorprendente
variante. La protesta da pacifica, diventa, almeno in parte, violenta.
Per opera di chi?
Non certo direttamente di soldati stranieri sul campo,
bensì di estremisti. E che estremisti! Come ormai noto, ad assaltare i
ministeri di Kiev non sono stati i pensionati ucraini, bensì milizie
paramilitari neonaziste, ben istruite e ben armate.
I pacifisti sono
serviti da corollario, soprattutto mediatico, ma a rovesciare Yanukovich
sono stati guerriglieri antisemiti, fanatici e ultraviolenti.
Autentiche canaglie, il cui tempismo è stato perfetto: la sommossa ha
raggiunto il suo apice durante i Giochi di Sochi ovvero nell’unico
momento in cui la Russia non poteva permettersi rovinare il ritorno di
immagine delle Olimpiadi. Kiev bruciava ma il Cremlino era costretto a
tacere.
Operazione
sofisticata e magistrale, ufficialmente senza paternità, che però –
ammainate le bandiere olimpiche – ha innescato la risposta del Cremlino,
meno raffinata ma altrettanto spregiudicata.
Obama non immaginava che
Putin potesse occupare la Crimea, così come il Cremlino non si aspettava
la guerriglia filoamericana di Kiev.
Si sono sorpresi a vicenda. E non
finisce qui.
La guerra, sporca e asimmetrica, durerà a lungo sotto gli
occhi dell’opinione pubblica mondiale che assisterà a tutto senza
capire, ancora una volta, nulla.
FONTI
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