domenica 30 agosto 2015

Pallywood: i video propaganda della Tamimi press

Anche prima di leggere questo articolo http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=59385 già lo sospettavo che ci fosse dell'altro dietro l'arresto del 31enne italiano in Cisgiordania, ma la stampa italiana ce l'ha tenuto nascosto. eh già, nascosto, certo, perché se ci sono arrivata io che non sono giornalista (non indago la verità), la seguente domanda direi che è piuttosto lecita: come mai non ci sono arrivati loro? i professionisti? Eppure della famiglia Tamimi (attori consumati ormai) si sapeva già da un pezzo (cmq visto che state leggendo questo post guardate pure i video su you tube che troverete linkati).
Mi chiedo (ma senza stupirmi poi più di tanto, considerata la carenza etica e professionale di alcuni: una delle giornaliste italiane -notizia del mese di luglio- ha persino pagato una ragazza nomade perché durante l'intervista dichiarasse quello che lei stessa le aveva chiesto di dire!!): perché queste mezze notizie (anzi, magari fossero mezze!) che servono solo a buttare benzina sul fuoco?
La vostra (e mi rivolgo ai giornalisti che hanno dato la notizia dell'arresto del 31enne italiano "come l'hanno data" cioè neanche a metà!) è pura ignoranza o lo fate proprio apposta perché così il vostro padrone richiede?
E non per ultimo c'è da aggiungere che le foto che tanto hanno fatto "il giro del mondo" (e delle quali i giornalisti ci si sono tanto riempiti la bocca!) sono un falso: non è un soldato israeliano a maltrattare quel bambino (l'attore) ma qualcuno che millanta di esserlo (molto probabilmente uno di hamas). I soldati israeliani usano il casco e non il passamontagna! eppoi figuriamoci  la fine che avrebbe fatto quell'uomo se davvero fosse stato un soldato israeliano (da solo, in mezzo al deserto, contornato dalla folla... sarebbe bastata una pietra a metterlo fuori uso eppure... stranamente tutti erano li a strillare e a filmare o fotografare invece di intervenire!)
Quel video è un falso e anche un ceco se ne accorgerebbe!

Di seguito il commento di Deborah Fait su Informazione Corretta


Ciak, si gira ! Una delle migliori recite della famiglia Tamimi al completo

https://www.youtube.com/watch?v=xHy8J58eUuM
il video dal blog di Danielle Guez

Grandissima interpretazione della famiglia Tamimi diventata famosa grazie alla figlia, Ahel Tamimi, una peste premiata da Erdogan per aver assalito a calci, pugni, parolacce e urla isteriche un gruppetto di soldati israeliani .
Questa volta tutta la famiglia è stata protagonista di Pallywood con un filmato firmato “Tamimi press” (ehhh, ormai sono diventati un’agenzia vera e propria) diventato virale sul web, sui telegiornali internazionali, sui media di tutto il mondo!

Un soldato israeliano con una divisa senza nessun segno di riconoscimento (le camicie cachi di Zahal hanno sempre sulla manica una piccola bandiera di Israele), senza casco, con una specie di calzamaglia in testa e un grosso mitra sulle spalle si aggira solo soletto nel deserto quando vede un ragazzino con un braccio ingessato in mezzo alle rocce sotto di lui che tira sassi. Gli corre dietro urlando “yeled yeled” (bambino) con un fortissimo accento arabo, finalmente lo becca e se lo mette tra le gambe mentre il bimbo che si chiama Bilal Tamimi si mette a urlare e a divincolarsi .

All’improvviso il deserto si anima e, dal nulla più profondo, appaiono donne urlanti seguite da alcuni uomini fra i quali Bassem Tamimi, padre e noto “attivista”, e da alcuni cameramen che stavano, casualmente, passando da quelle parti. Ma che ci fanno, secondo voi, dei cameramen, tutti attrezzati, in mezzo al deserto, tra sassi e sabbia, col caldo che fa!
Chiaramente erano stati chiamati per assistere allo show: urla, botte, mamma Tamimi, papa’ Tamimi, alcuni parenti, tutti intenti a pestare il “soldato”, poi, sempre dal nulla, arriva lei, la primadonna, Ahed Tamimi con la sua treccia bionda che le è valso il nomignolo di Shirley Temple palestinese, e, come un’attrice provetta, si lancia contro il soldato urlando in inglese “My brother” e incomincia a prenderlo a botte e a mordergli la mano, fermandosi ogni tanto per controllare se le telecamere la stanno inquadrando.
Anche le altre donne, tra un urlo e l’altro, lanciano occhiate alle telecamere, forse preoccupate di non essere riprese come si conviene. Tutto costruito col chiaro intento di provocare, con la pestifera Ahed, una vera e propria canaglia, più scatenata che mai, che ha il potere di farmi prudere le mani.

Pallywood è diventato un grande business che fa danni enormi all’immagine di Israele spesso incapace di reagire come si deve alla propaganda araba senza scrupoli che non si preoccupa di usare bambini e adolescenti pur di danneggiare l’odiato nemico sionista.
L’ANP e tutte le ONG antisraeliane spendono milioni per questo tipo di propaganda, sempre attivissime, spaziano dal boicottaggio internazionale ai filmati taroccati e costruiti all’uopo contro i soldati di Tzahal che, nei pattugliamenti , devono letteralmente scrollarsi di dosso nugoli di ragazzini isterici e pericolosi, di donne urlanti e cercare anche di restare calmi.
Se a volte, umanamente, non ce la fanno, anche perchè le pietre che gli tirano addosso fanno male, cadono vittime della più bieca propaganda.

Ecco qui un altro filmato di Right Reporter, pubblicato a suo tempo anche da informazionecorretta, dove si vede benissimo tutto l’imbroglio che sta dietro all’informazione fasulla che dai territori contesi va poi a fare il giro del mondo. Attori presi dalla strada, pagati per disperarsi davanti alle cineprese. Una vecchia che piange a comando mentre un’altra in piedi vicino a lei ride divertita e si sente la voce di uno dei presenti che dice in ebraico “Non posso crederci, piange quando glielo chiedono e poi ride quando non riprendono.
Che sceneggiata è questa?” http://www.rrvideo.org/video/ciak-si-gira-pallywood-in-azione/

Appunto, che sceneggiata è questa? Purtroppo tutto serve per ingigantire l’odio del mondo contro Israele e il video della “Tamimi press” è la ciliegina avvelenata su una torta fatta di fango. Il fango in cui sguazza l’ANP.

lunedì 3 agosto 2015

Ma quanti eravamo a Tel Aviv? Non tutti.

di Etgar Kere

(Il Corriere della Sera, 4 agosto 2015)

"Non ci sono tutti", ha esclamato mio figlio, sabato, sui gradini del municipio di Tel Aviv in Piazza Rabin, «ne arrivano altri, giusto?».



foto di Shalom7.


Erano già le 9, era passata un'ora e mezza dall'inizio ufficiale della manifestazione contro la violenza, l'istigazione. Non ha ancora 10 anni, ma ha già visto quella piazza piena di gente che dimostrava per cause meno importanti ed è sicuro che, come in un buon film western, la cavalleria sta per arrivare, che si riverseranno in piazza decine, forse centinaia di migliaia di cittadini inorriditi dai terribili eventi occorsi questa settimana in Israele.
Come è possibile che a manifestare contro l'assassinio di bambini e innocenti vengano meno persone di quelle che parteciperebbero a una protesta contro il prezzo della case o il blocco edilizio nelle zone degli insediamenti?

Il giorno dopo, i giornali avrebbero scritto che c'erano «migliaia di dimostranti», ricorrendo al termine «migliaia» solo per nascondere gli spazi vuoti nella piazza. Abili fotografi avrebbero elaborato delle immagini per le prime pagine che fanno sembrare grande la folla relativamente piccola. Questo triste sforzo per aumentare la portata della manifestazione non è dovuto a misteriose ragioni politiche, ma a un senso di vergogna collettivo, perché la verità imbarazzante è che una manifestazione contro l'uccisione di neonati palestinesi e l'accoltellamento di partecipanti alla parata dell'orgoglio omosessuale non spinge le persone a uscire di casa, certamente non in questo agosto particolarmente caldo e umido. E questa verità non è bella per nessuno. 


Sono abbastanza vecchio da ricordare Piazza Rabin, quand'era ancora chiamata I re d'Israele, in numerose occasioni piena di manifestanti: ricordo, da teenager, centinaia di migliaia di persone che protestavano contro la guerra del Libano dopo il massacro di Sabra e Shatila, e una folla così piena di speranza alla manifestazione per l'accordo di pace, dopo il quale fu assassinato Yitzhak Rabin. La ricordo piena di uomini con la kippah lavorata a maglia, che protestavano contro il disimpegno, e i giovani appassionati che cantavano alla manifestazione a favore della giustizia sociale. Ma oggi è mezza vuota. Dove sono tutte le persone che allora la riempivano? 


I giovani miseramente sconfitti nella loro battaglia per la giustizia sociale hanno perso la loro speranza e fiducia nell'efficacia di questo strumento democratico?

Quelli di sinistra, che vengono a sudare in questa piazza tutte le volte che si perpetra una nuova ingiustizia nel nostro Paese — un'evenienza non affatto insolita — cominciano a essere stanchi? 
E dove sono quei coloni con i loro yarmulkes (copricapo tipico degli ebrei) che riempivano rapidamente questa piazza e qualunque altro posto in cui avevano luogo le manifestazioni contro la demolizione degli insediamenti illegali, ma che scelgono di non protestare contro l'assassinio di neonati?
Pensano che, quando si tratta di palestinesi e della comunità Lgtb (persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender), il comandamento «Non uccidere» sia stato cancellato dalle loro tavole di pietra? 
Che qui abbiamo una sorta di divisione dei compiti: la destra manifesta per la sacralità della terra, e tutto quello che riguarda l'omicidio di innocenti non ebrei o eterosessuali ricade fuori dalla loro giurisdizione? 
E quelli che non seguono la politica ma vivono semplicemente qui e cercano di sopravvivere: pensano anche loro che questa manifestazione non abbia niente a che fare con le loro vite? 

Sembra che abbiamo perso la convinzione di poter cambiare qualcosa; il fatto è che persino quei pochi che hanno partecipato alla manifestazione sembrano stanchi. Molti di loro sono seduti sul bordo della fontana e sui gradini del municipio. Solo pochi sono venuti, e non hanno neanche la forza di stare in piedi. Gli oratori hanno già finito i loro discorsi e la folla ha cominciato a disperdersi, ma mio figlio si rifiuta di andarsene. 

Nella sua logica, chiunque creda sia sbagliato uccidere bambini e accoltellare innocenti dovrebbe uscire a manifestare contro questi misfatti. Secondo lui, nel nostro Paese, ci dovrebbero essere milioni di persone che la pensano così, milioni. 
Se la gente non è ancora arrivata, insiste, è solo perché ha qualche impedimento. Forse il figlio non trova la scarpa o la babysitter è in ritardo. E solo questione di tempo perché vengano, è chiaro. «Aspettiamo ancora un po'», dice, avvolgendo la sua manina alla mia mano. «Ancora un po', finché non arrivano». L'unica risposta che riesco a borbottare è che è già tardi, e potrebbe passare molto, davvero molto tempo prima che arrivi la gente che dovrebbe esserci.

(Traduzione di Ettore Claudio lannelli)