venerdì 22 aprile 2011

MAROCCHINATE

La guerra è già di per sé una realtà barbara, ma se a questa aggiungiamo i crimini compiuti da quei singoli che vi hanno partecipato in maniera spregevole, allora non esiste termine per definire ciò che diventa. Non è più guerra. Non è più "semplice" barbarie. E' peggiore!
Tra uccisioni, saccheggi e devastazioni troppo spesso c'è anche un altro elemento a insudiciare ulteriormente un'azione bellica, e questo è lo stupro.
Purtroppo sembra essere sempre la prima "risorsa" a cui ricorrono certi uomini in qualsiasi caso: dall'intimità familiare alla relazione sentimentale terminata, dallo sfregio alla cattiveria pura, dall'egoismo alla prepotenza, dal senso di predominio alla vigliaccheria, dal desiderio di umiliare a quello di possedere... E la faccenda si fa ancora più drammatica quando, in casi di guerra, queste aberrazioni si perpetuano in massa. I casi più eclatanti che la mia memoria ricorda sono quelli della guerra in Kosovo e le "marocchinate" in Italia durante la seconda guerra mondiale.
 Ma sono atti, questi, che non fanno parte soltanto delle guerre passate poiché ancora oggi, nel 2011, accadono senza ritegno né pietà (eh sì che più avanti si va e più si spera che l'essere umano sia diventato sempre più civile, meno cavernicolo!).

La malvagità non ha tempo né luogo. Molte guerre sono ancora in corso in vari paesi del mondo, e pure se le notizie arrivano sporadiche, si sa che "è la prassi" umiliare e oltraggiare il corpo femminile.
Anche durante le attuali insurrezioni popolari nel medio oriente sono stati segnalati casi di violenze sessuali, ovviamente ai danni delle donne che hanno osato ribellarsi al regime divenendo parte attiva della nuova ondata collettiva che le vede coinvolte nella conquista dell'emancipazione e della democrazia.

Parlando dell'Italia e delle "marocchinate" (termine usato per indicare lo stupro di massa attuato dai goumiers francesi ai danni di molte persone di ambo i sessi e di tutte le età dopo la battaglia di Monte Cassino), non mi meravigliano dei pregiudizi con cui gli italiani ancor oggi guardano in particolar modo ai turchi, ai marocchini, agli algerini... insomma, a tutti gli uomini del mondo mediorientale, facendo dell'erba tutta un fascio (cioè non distinguendo più la nazionalità delle persone che li avevano colpiti così duramente).

Ma cosa spinge i soldati (regolari e non) a compiere violenze sessuali?
Perché accanirsi ulteriormente sulla popolazione che già subisce le brutture della guerra?
Quanto c'entra il machismo in questo contesto?
Può essere definità pura crudeltà e basta?

Per quanto riguarda il Kosovo, sembra proprio che sia stata premeditata la violenza sessuale sulle donne, con lo scopo di annientare la dignità di un popolo e d'infierire maggiormente, ingravidandole... (Me lo ricordo ancora oggi di quando la chiesa "consigliava" loro di non abortire... Ma come si può chiedere questo?) Il discorso in questa circostanza è estremamente complicato e soltanto con le vive testimonianze se ne può venire a capo senza congetture. E ricordo pure di come le prime testimonianze che ci arrivarono furono messe subito a tacere e non se ne parlò mai più. E purtroppo mi risulta che le donne del Kosovo non sono mai state supportate da nessuno, né dagli psicologi né dai loro congiunti.
Ma situazione Kosovo a parte (si fa per dire!), probabilmente la verità è che l'uomo quando è in branco si trasforma in qualcosa che non può neanche essere definito bestia (si offenderebbe la categoria animale!), e non voglio neanche chiedermi se sia il retaggio culturale a farla da padrone sulle loro menti (pensanti? boh?!). Una cosa è certa: è accaduto in passato e continua ad accadere.

Tornando alle marocchinate, queste sono conosciute dalle nostre nonne, madri, zie che l'hanno subite durante la seconda guerra mondiale. Ovviamente alle giovani questa è una realtà sconosciuta, ma per non farla finire nel dimenticatoio trovo sia giusto riesumarla. Ho appena visto due filmati storici trasmessi tempo fa alla RAI e dai quali estrapolerò le interviste che testimoniano lo sconvolgimento di quei giorni, ma prima, un piccolo escursus:

I goumiers erano truppe coloniali irregolari francesi appartenenti ai Goums Marocains, un reparto delle dimensioni approssimative di una divisione ma meno rigidamente organizzato, che costituiva il CEF (corps expeditionnaire français) insieme a quattro altre divisioni: la seconda divisione marocchina di fanteria, la terza divisione algerina di fanteria, la quarta divisione di montagna marocchina e la prima divisione della Francia libera. I Goums erano al comando del generale francese Augustin Guillaume.
Il sindaco di Esperia (comune in provincia di Frosinone) affermò che nella sua città 700 donne su un totale di 2.500 abitanti furono stuprate, e alcune di esse in seguito a ciò morirono. Con l'avanzare degli alleati lungo la penisola, eventi di questo tipo si verificarono altrove: nel Lazio settentrionale e nella Toscana meridionale i goumier stuprarono e a volte, uccisero donne e giovani dopo la ritirata delle truppe naziste, compresi membri della resistenza italiana.
Lo scrittore Norman Lewis, (all'epoca ufficiale britannico sul fronte di Monte Cassino) narrò gli eventi:
«Tutte le donne di Patrica, Pofi, Isoletta, Supino, e Morolo sono state violentate.... A Lenola il 21 maggio hanno stuprato cinquanta donne, e siccome non c'erano abbastanza per tutti hanno violentato anche i bambini e i vecchi..I marocchini di solito aggrediscono le donne in due -uno ha un rapporto normale, mentre l'altro la sodomizza. » (nel libro Napoli '44)

Diverse città laziali furono investite dalla foga dei goumiers (truppe marocchine). Si segnalano le cittadine di Giuliano di Roma, Patrica, Ceccano, Supino, Morolo e Sgurgola in cui numerose ragazze e bambine furono ripetutamernte violentate talvolta anche alla presenza dei genitori.
In una testimonianza raccolta dal professor Bruno D'Epiro si racconta che il parroco di Esperia cercò invano di salvare tre donne dalle violenze dei soldati: fu legato e sodomizzato tutta la notte e morì in seguito a queste violenze.
Il fenomeno "marocchinate" sarebbe iniziato già dal luglio 1943 in Sicilia, propagandosi poi in tutta la penisola e si sarebbe arrestato solo nell'ottobre 1944, quando i CEF furono trasferiti in Provenza. In Sicilia, i groumiers avrebbero avuto scontri molto accesi con la popolazione per questo motivo: si parla del ritrovamento di alcuni soldati uccisi con i genitali tagliati.
trascrizione documentario (da Mattatoio Cassino, di Erwin Flores e Vanessa Roghi) 1944
"15 marzo. Ad un mese di distanza dal bombardamento dell'Abbazia di Cassino tutto sembra finalmente pronto all'attacco decisivo alle difese tedesche.
Alle 8.30 del mattino, gli aerei alleati iniziano a bombardare la città di Cassino. L'azione dura fino a mezzogiorno: 514 bombardieri sganciano 1500 tonnellate di bombe sulla città, contemporaneamente, più di 500 aerei tra caccia e bombardieri attaccano obiettivi nelle immediate vicinanze. Gli alleati non incontrano praticamente resistenza da parte dell'aviazione e della contraerea tedesca. Dopo l'abbazia, anche la città di Cassino viene praticamente rasa al suolo. S'incrina così un'altro mito della guerra giusta, quello dell'alleato sempre amico e solo liberatore.
Sono i giorni degli stupri di massa. La violenza delle truppe di colore del CEF (il corpo di spedizione francese) travolge tutto e tutti. Il paese maggiormente colpito è Esperia. 2500 abitanti.
Il 17 maggio subisce l'attacco frontale della fanteria algerina e marocchina. I tedeschi cominciano a ritirarsi a nord lasciando libera la strada per Roma. La popolazione resta in balia della furia incontrollata dei goum. Il sindaco del paese Giovanni Moretti, in un convegno a Cassino il 12 novembre 1946 leggerà in un suo intervento: "si contano 700 donne violentate cioè la quasi totalità delle donne, tutte ammalate e non vi dico di quale male. molte morte altre moribonde"

Daria Frezza (storica): "Gli stupri di massa che vengono commessi sono imputati a questi marocchini. Stupri, ma non soltanto gli stupri, poi ci sono i saccheggi delle poche cose che queste persone avevano, che erano riuscite a mantenere, a non disperdere. Saccheggi, ma non soltanto, a volte anche uccisioni. Uccisioni di parenti o di chi eventualmente si ribellava di fronte a questi stupri."
 (ecco, questo è solo uno stralcio della sua intervista ma dalle sue parole posso soltanto notare quanto siano distaccate e quanto non rendano l'idea della drammatica realtà che a tutt'oggi non ha abbandonato i ricordi di chi è sopravvissuto)

Testimonianze
Antonina: "Come le formiche, i marocchini erano come le formiche. (...) Quando sono arrivati i marocchini, stavo facendo la sfoglia, e dicevano che stavano arrivando gli alleati e invece erano venuti i cani. (...) I marocchini m'hanno ammazzata... mi hanno portata via, mi hanno violentata, mi hanno ferita, mi hanno sgraffiata in faccia, dappertutto. I capelli me li hanno strappati perché mi portavano in giro trascinandomi per i capelli, e le vesti me le tolsero tutte. Ero come a Gesu Cristo quando l'avevano flagellato m'avevano ridotto in quella maniera a me".

Chadi Mohamed (corpo di spedizione francese - 81° goum marocchino) : "La montagna era piena di corpi, c'erano tanti morti da tutte e due le parti".

Ben toumi Mohamed (corpo di spedizione francese III divisione fanteria algerina): "Eravamo in prima linea e i tedeschi erano di fronte a noi. Volevamo trasportare i nostri morti in un lenzuolo, sulle spalle, ma non potevamo".

Silvio Palombo (abitante di Esperia Fr): "Portavano delle tuniche, così, di tutti i colori. portavano dei capelli lunghi, sporchi, in un modo che non sembravano nemmeno truppe, sembravano gente raccattata. (...) Noi stavamo aspettando gli americani, la cioccolata... (...) Quelle grida che ho sentito io quella notte, erano un'inferno, un inferno dantesco. Sembravano quelle belve che sbranavano gli animali... quella notte fu terribile".

Nunzia: "Quando è successa la disgrazia, ci stava anche un mio cugino e altra gente e gli stavano sparando perché non volevano che ci facevano quello che ci hanno fatto. Io avevo 11 anni. C'era pure mia madre e gli diceva quello che volete fare a mia figlia e alle mie nipoti fatelo a me...

Angelo De Santis (abitante di Castro dei Volsci Fr): "Io ebbi una sorella stuprata e percossa, un fratello ammazzato... e scappavamo da tutte le parti perché poi erano armati e resistergli era pericoloso" (...)

Amalia Colozzi (abitante di esperia (Fr): "Qui (sulla fronte) portavano un panno fatto a torciglione, l'anello al naso, gli orecchini alle orecchie. Quando poi la mattina siamo arrivati là, subito, appena arrivati presero mia sorella che era piccola" (...)

Annita Porcaro (abitante di Esperia, Fr): "Sulla montagna, un povero padre, per difendere la figlia lo ammazzarono"

Ida di Cuffia (abitante di Esperia, Fr): "Erano due, uno è entrato dentro e l'altro aspettava fuori Mio padre quando ha visto quello che volevano fare è intervenuto ma loro lo hanno ucciso".

Giovanna: "Dicevano sono arrivati gli americani, gli americani... tutti con i fazzoletto... e invece erano arrivati i diavoli". (...) Mi ricordo che mi sono attaccata a mia madre, e allora a lei le hanno dato una scarpata in fronte e a momenti l'ammazzavano, e a me mi hanno trascinata via. (...) Botte pure perché io non ci volevo andare... le botte che m'hanno dato... forse ero più morta che viva. Non lo so come ne sono uscita. (...) C'avevo 11 anni e mezzo, pensavo di morire. Mi dicevo: ora m'ammazzano, ma no... se m'ammazzavano forse era meglio. (...) Io stavo aspettando il colpo mio. Ero ragazzina ma stavo aspettando proprio il colpo mio. Credevamo che c'avrebbero ammazzati tutti quella sera.

dal romanzo La Ciociara, di Alberto Moravia (1957)
Rosetta non era svenuta, e tutto quello che era successo lei lo aveva veduto con i suoi occhi e sentito con i suoi sensi. (...) Lei mi guardava con occhi spalancati, senza dir parola né muoversi, uno sguardo che non le avevo mai visto, come un animale che sia stato preso in trappola e non può muoversi e aspetta che il cacciatore gli dia l'ultimo colpo.

Alberto Moravia ha documentato le marocchinate, le donne italiane ne hanno potuto parlare e sono state supportate anche dai loro uomini (i sopravvissuti), ma per le donne del Kosovo non è stato così. A questo proposito vi popongo un'altro articolo
http://www.balcanicaucaso.org/Temi/Diritti-umani/Le-donne-del-Kosovo-vittime-di-una-vergogna-immeritata
e vi lascio riflettere con una considerazione che mi esce urlando dall'intimo del mio animo femminile: Nonostante tutto ciò che hanno subito e che continuano a subire, le Donne impavide di tutto il mondo non smetteranno di mai lottare per i loro diritti (che si sappia!).



venerdì 15 aprile 2011

Sugli effetti delle radiazioni nucleari se ne sta parlando molto dal "japan day after" e direi che c'è poco altro da aggiungere! Tuttavia voglio proporre questo commento di Monika Zlotnik perché trovo che riassuma significativamente in poche righe tutto quanto è stato detto fino ad ora, e anche perché (se non specialmente) è testimonianza viva di una vicenda accaduta in Europa poco più di vent'anni fa.
A proposito dell'incidente avvenuto in Giappone (non modificherò nulla del suo messaggio ma lo trascriverò così come lo ha scritto lei) dice:
"Essendo Polacca (si con la P maiuscola!!!) ed avendo già l'esperienza negativa del vicino Chernobyl, vorrei che non fosse mai successo malformazioni ai bimbi in grembo o a neonati.. ma l'emoraggie interne dalle radiazioni, il vomito col sangue.. è impressionante cosa l'uomo è riuscito di fare con la Madre Terra... per i soldi ! Gli ingegneri che hanno avuto un dono di fare e costruire le cose impossibili... forse da solo non hanno immaginato tutto ciò... non a me di persona ( anche se in tutta la Polonia ci davano uno sciroppo da bere strano dopo l'esplosione) ma alle persone della vicina Russia succedevano le cose orribili... non so cosa potrebbe succedere. oppure i fanatici scienziati... boh chi lo sa.... che paura..."
Avete notato che, pur essendo Polacca e quindi non parlando (e scrivendo) bene l'italiano, ciò che ha voluto comunicare si capisce comunque benissimo? In quattro righe descrive gli effetti delle radiazioni, la sua incapacità di comprendere il motivo che ha spinto quegli ingegneri dotati di un dono che non hanno usato per fare del bene, il suo "giustificarli" perché forse non lo hanno fatto con cattiva intenzione, la paura della tragedia rivangata dalla memoria e le "rassicuranti" porzioni di sciroppo, la speranza che "i fanatici scienziati" si riapproprino della dignità di usare il proprio dono a favore dell'umanità...

domenica 10 aprile 2011

Essere donna oggi

intervista ad Anna, classe 1931

Pensi sia più difficile essere donna oggi?
Oggi è più facile essere donna perché non ci si fa comandare. Prima non era così. Bisognava fare soltanto quello che dicevano loro. Era normale. Ti dicevano che dovevi fare del tutto per tenere unita la famiglia. Dovevi abbozzare anche se venivi picchiata. Ce lo raccomandavano stesso i nostri genitori.  E questo succedeva al 90% delle donne della mia età. Quante ne abbiamo subite anche dalle suocere e dalle cognate, uuuuhhh. 
Anche oggi ci sono i dittatori ma solo per chi si fa comandare! Le ragazze devono tenere la guardia sempre alzata e non farsi mancare mai il coraggio di mandarli affa...lo (beep!) quando ci vuole. Certo, con alcuni si può anche ragionare, ma con altri proprio no perché sono nati marci. 
Per fortuna non sono tutti uguali eh?
Si, però un albero non dà soltanto frutti buoni, e per quelli tarati ci vorrebbe un intervento decisivo e duraturo, perciò è inutile metterli in prigione e poi farli uscire subito. Bisogna metterli ai lavori forzati, altro chè (si riferisce a coloro che arrivano anche ad uccidere le proprie compagne). Oggi le donne hanno la possibilità di divorziare ma non sempre gli riesce di farlo con tranquillità. Intanto è un passo avanti alla mia generazione che se lo sognava soltanto. C'erano troppi problemi: come tiravi a campare se un lavoro non te lo davano perché femmina e pure ripudiata, mica separata, ripudiata!! capisci? Insomma c'era d'aspettarsi che ti additavano come donnaccia e quindi tutte le porte erano chiuse. Prima dovevamo per forza avere un solo fidanzato e sposarci con quello. Ci piaceva o no era uguale. Oggi invece le donne possono scegliere.
Anche quando eri giovane tu c'erano altrettanti stupri?
Le violenze sessuali c'erano pure prima, ma non le affrontavamo perché era una vergogna sia per la ragazza che per tutta la famiglia. Capisci? Non si vergognava lo stupratore, si doveva vergognare la ragazza che subiva la violenza perché si diceva che era stata lei a provocare l'uomo. L'uomo cacciatore dei miei stivali! Ovviamente, quando si sapeva in giro, poi la ragazza non si maritava più perché nessuno la voleva, primo perché non era più vergine e secondo perché la colpa era sua se l'avevano violentata.
Perciò se alcune non denunciano forse è perché provano vergogna?
Si, credo che se oggi ci sono donne che non denunciano lo stupratore, è perché può darsi che si portano appresso questa vergogna e si sentono pure in colpa (retaggio del passato). Ma invece devono mettere le foto dappertutto di queste mele marce. Li devono far vedere chi sono così le altre non ci cascano!

Mentre mi racconta la sua esperienza di donna nell'Italia di quegli anni, la notizia di Iman al-Obeidi non mi abbandona un attimo. Alla fine del mese di marzo 2011 questa giovane donna avvocato ha fatto irruzione in un hotel di Tripoli e ha pregato i giornalisti stranieri di aiutarla, mostrando le sue ferite e denunciando che era stata violentata da 15 uomini del regime. Ha continuato a urlare mentre alcuni agenti di la portavano via, e da allora nessuno l'ha più vista. Iman ha dimostrato di avere coraggio da vendere nel denunciare pubblicamente l'episodio che l'ha coinvolta, e ha detto che ci sono anche altre donne nelle mani di questi teppisti del regime. Gli uomini che l'hanno rapita probabilmente hanno pensato che lei non avrebbe mai avuto il coraggio di denunciare pubblicamente l'accaduto, perché avrebbe significato subire la vergogna dello stupro in una società conservatrice dove troppo spesso sono le donne a essere incolpate per crimini del genere. Ma nonostante tutto lei ha osato rompere il silenzio che circonda tante vittime della brutalità e della violenza sessuale che le donne vivono nel suo paese. Il regime l'ha additata come prostituta e ha dichiarato che la denuncerà per calunnia contro le forze governative. Una buona cosa è sapere che il popolo libico ha manifestato in suo sostegno.


In effetti durante i processi le donne sono state messe sotto accusa invece che essere difese...
Ah guarda che se mi ricordo di quei processi del 1978 mi si rizzano i capelli. Stiamo parlando di tempi recenti, eppure quelle ragazze sono state martorizzate anche dai giudici. E che cavolo! Ah ma l'avvocato che era una donna gliele ha cantate eh?! (si riferisce a Lagostena Bassi che ha difeso Floriana, una diciottenne di Latina e Rosaria e Donatella di Roma e stuprate e massacrate nel Pontino). Ora però le cose sono molto diverse, grazie a quella bravissima avvocata. Poi ci sono pure tutte queste associazioni... mo' mi viene in mente solo il telefono rosa però le femministe hanno fatto tanto eh? Mi ricordo che tutti i maschi ce l'avevano con loro e dicevano: "ma che se so' messe in capo queste? vonno fa pure l'omini? ma stessero a casa a fa la calzetta!" Ti devo dire la verità che a me il sangue me ribolliva perché c'avevo un marito davvero maschilista, ma me so sempre stata zitta e ho subito, ma poi me so' fatta coraggio e dopo 40 anni di matrimonio ho divorziato. Non ti dico che m'hanno detto i suoi parenti! (i miei m'hanno appoggiato, per fortuna) Vabbé mo è acqua passata, però te lo devo proprio di fija mia, me so' liberata!

giovedì 7 aprile 2011

Tina Lagostena Bassi: la donna, l'avvocata

In un'intervista del 2007, l'avvocata Tina Lagostena Bassi sottolineò come la trasmissione in tv del processo fu scioccante perché si rendeva visibile come gli avvocati difensori potevano essere altrettanto violenti degli stupratori nei confronti delle donne, inquisendo sui dettagli della violenza e sulla vita privata della parte lesa, trasformandola in imputato: l'atteggiamento mentale che emergeva in aula era che una donna "di buoni costumi" non poteva essere violentata; che se c'era stata una violenza, questa doveva evidentemente essere stata provocata da un atteggiamento sconveniente da parte della donna; che se non c'era una dimostrazione di avvenuta violenza fisica o di ribellione, la vittima doveva essere consenziente.

 (arringa 1978 -1979 trasmesso in rai - per Fiorella, ragazza 18enne di Latina)

« Presidente, Giudici,
credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. 
Che significa questa nostra presenza?
Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c'interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia, come donne?
Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali, ed attraverso ciò che avviene nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro Paese, si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto
Noi donne abbiamo deciso, e Fiorella in questo caso a nome di tutte noi  - noi le siamo solamente a lato, perché la sua è una decisione autonoma - di chiedere giustizia. Ecco, questa è la nostra richiesta.
E certo, io non sarò molto lunga, ma devo purtroppo ancora prendere atto, e mi scusino i colleghi, che se da parte di questo collegio si è trattato in questo caso Fiorella, ma si sono trattate le donne, come donne e non come oggetti, ancora la difesa dei violentatori considera le donne come solo oggetti, con il massimo disprezzo, e vi assicuro, questo è l'ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento. 
Vi diranno gli imputati, svolgeranno quella che è la difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di riuscire ad avere la forza di sentirli - non sempre ce l'ho, lo confesso - di avere la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo. Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati - e qui parlo come avvocato - si sognerebbe d'impostare una difesa per rapina così come s'imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali sicuri da difendere, ebbene, nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori "Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere un po' è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!"
Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. E nessuno lo farebbe nemmeno nel caso degli espropri proletari - ma questi sono avvocati che certamente non difendono nessuno che fa esproprio proletario. Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d'oro, l'oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? 
E questa è una prassi costante: il processo alla donna, La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un'imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare una donna venire qui a dire "non è una puttana".
Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, e senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore della donna Fiorella, io sono l'accusatore di un certo modo di fare processi per violenza, ed è una cosa diversa.
Tutto si cerca di sporcare. Questa ragazza, alla ricerca disperata di lavoro - e che lavoro fa? lavoro nero, mentre se andasse per le strade, non avrebbe bisogno di andare per 70.000 lire al mese a lavorare da Giordano, perché tanto era il suo guadagno. Pensate, una violenza carnale ad opera di quattro, durata un pomeriggio, con un sequestro di persona in una villa, viene valutata 2.000.000. Il silenzio della Fiorella valeva 1.000.000, invece. Questo, vi prego di tenerne conto, ai fini dell'esame di quella tal congruità dell'offerta di risarcimento. 
Bene, le si offre 1.000.000, e Fiorella, che ripeto eppure è una ragazza che avrebbe bisogno di soldi - ma li vuole solo lavorando pulitamente, anche se fa lavoro nero, se viene sfruttata come lavoro; ma vuole guadagnare i soldi solo col suo lavoro - fa finta di accettare, guadagna qualche ora, non vi sto a rileggere tutto, dice "Ne riparliamo domani". Perché domani? 
Sono le 7:30 di mattina, alle 8 ci sono altre telefonate, lei risponde "Non lo voglio vedere subito", alle 11 è già al commissariato. Ma il maresciallo è stato fin troppo chiaro, quando ha detto "Quando sono andato a fermare il Vallone, se lo aspettava, e mi ha detto - Sì, per i fatti di Fiorella, siete qui per i fatti di Fiorella.", l'abbiamo sentito or ora. Ma se i fatti di Fiorella era che avevano avuto un rapporto, a pagamento, non a pagamento, ma con una donna consenziente, ma come uno si aspetta la polizia? E poi, la seconda parte: vengono interrogati dal pubblico ministero a Regina Coeli,  e non è ancora intervenuto il difensore a dare i suggerimenti, e allora che cosa fanno? Negano. Mentre al maresciallo confermano di avere avuto rapporti carnali, perché tanto anche hanno detto, di fronte al PM negano, negano l'evidenza. 
Ma chi ha mai detto che occorre la pistola, che occorrono le botte? 
Nel Medioevo, sì, si diceva, quando si parlava, e vi ricordate, la giurisprudenza del decennio scorso, della vis grata puellae. Non siamo più ancorati a provare questa "violenza gradita alla fanciulla" che si ammanta di pudicizia. Nel 1977-78 i costumi sono diversi. Se una donna vuole andare con un ragazzo, ci va, molto più semplicemente, e non si parla di vis grata puellae, né di quella resistenza, anche una bella sentenza, destinata a cadere come le mura di Gerico.
A nome di Fiorella e a nome di tutte le donne, molte sono, ma l'ora è tarda e noi vogliamo giustizia. E difatti questo io vi chiedo: giustizia. Noi non chiediamo le condanne, non c'interessano. Ma rendete giustizia a Fiorella, e attraverso la vostra sentenza voi renderete giustizia alle donne, a tutte le donne, anche e prima di tutto a quelle che vi sono più vicine, anche a quelle povere donne che per disgrazia loro sono vicine agli imputati. Questa è la giustizia che noi vi chiediamo. Per quanto attiene al risarcimento, già vi ho detto: una lira per Fiorella, questa ragazza così venale, che andava con uomini per soldi, vero?, e sulla quale voi butterete fango, butterete fango a piene mani. Bene, questa ragazza così venale vuole una lira, e vuole la somma ritenuta di giustizia devoluta al Centro contro la violenza sulle donne, perché queste violenze siano sempre meno, perché le donne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia siano sempre di più. »

lunedì 4 aprile 2011

Lavoro e precarietà

Lavoro e precarietà nella sanità: quando il senso della professionalità e dell'umanità viene stravolto dalla "politica dei tagli" che nega la dignità ad assistenti ed assistiti.

Mi ritrovo a scrivere questa lettera aperta, perché ritengo sia molto importante portare all'attenzione di tutti alcuni eventi che si stanno sviluppano intorno alla vita di noi, esseri umani...
Vorrei portare a riflettere  l’opinione pubblica, la collettività e la comunità civile sul  significato culturale di una società come la nostra, la quale ha impiegato molti anni per raggiungere un'armonia ed una compassione rivolta ad ogni individuo, e  soprattutto a chi fa parte di una classe sociale meno elevata, offrendo assistenza medico-sanitaria. Nello specifico, a persone più deboli e indifese non in grado di permettersi un’assistenza medica privata per un periodo di cura legato ad una malattia più o meno grave, o per il periodo naturale legato alla senilità.

Sono una dipendente di una Casa di Riposo per anziani che offre prestazioni sanitarie di vario tipo.
Sono umanamente preoccupata per la sorte degli assistiti.
Sono attualmente in cassa integrazione, fino a quando non si sa…

La scelta  per la cassa integrazione è stata fatta in seguito al rifiuto, o all’attesa della rappresentata regionale, nel firmare l’accreditamento dei posti letto per la lunga degenza medica (questa dicitura non esiste più) e per le riconversioni di assistenzialismo o riabilitative di altro tipo, presentati dalla Casa di Cura. L’amministrazione di conseguenza ha deciso di applicare questo provvedimento (o soluzione) atto al mantenimento del nostro posto di lavoro. Ma per quanto ancora?
Se le riconversioni non saranno firmate, per noi dipendenti potrebbero scattare i licenziamenti. E per i nostri assistiti sarà un'incognita il diritto di cura. 
Per riorganizzare questi tagli, i nostri pazienti lungodegenti sono stati smistati in altri reparti compatibili sia per la patologia sia per la copertura della lauta retta da pagare. Se alcuni di loro non riescono a coprire la quota-spese  vengono aiutati dal comune di residenza, ma in ogni caso è bene ricordare che attualmente le quote disponibili per questi tipi di pazienti sono pochissime ed a volte inefficienti. Le politiche sociali, come ben sapete, non riescono  a coprire le molte e frequenti situazioni di assistenza sociale e sanitaria

Per la prima volta, nella nostra attuale storia politica, dovremmo cominciare a riflettere con piena coscienza sulla cosiddetta politica dei tagli… 
Far quadrare i conti in bilancio cosa significa? Togliere dalla parte degli indifesi?
Tagliare sull’assistenza e sull’investimento di figure professionali anzitempo formate, cosa significa? Che ora non sono ritenute più importanti nell’accompagnamento della dignità della vita e al decorso della malattia?
Credo che venga dato poco valore alle tante figure professionali sanitarie e para-sanitarie, che come me ogni giorno affiancano il dolore e la sofferenza, la morte e l’impotenza, e che ora  hanno perso (o stanno perdendo) un lavoro che svolgono con passione e umanità.

L’opinione pubblica deve sapere cosa sta succedendo, deve essere messa a conoscenza delle responsabilità individuali che ognuno di noi ha ora, in questo momento. Cosa ne è del valore della partecipazione individuale in un Paese democratico come il nostro? Cosa ne è stato del valore di porre l’attenzione sulla dignità del proprio e altrui vivere?
Un'alternativa silenziosa nel frattempo si sta verificando… attendere, attendere la morte di pazienti indifesi, incapaci di farsi ascoltare e spesso lasciati soli…
Credo fermamente, sia come lavoratrice sia come possibile futura paziente geriatria o malata, che questi eventi calpestino i miei diritti di essere umano. Come assistente sanitaria specializzata, ho costruito il mio ruolo anno dopo anno con sacrifici, lotte, riconoscimenti, lavorando onestamente con coscienza. Come cittadina, lavoro quotidianamente su me stessa con consapevolezza, per condurre una vita pregna di valori umanitari e per trasmettere questi valori anche ai miei figli.
Il diritto alla vita, il diritto alla cura, alla dignità, al rispetto, all’assistenza medica, è un diritto unico e dev'essere uguale per tutti.
Ora a pagare il prezzo più alto è ancora ed unicamente la classe sociale medio-bassa, composta da cittadini che hanno lavorato e che lavorano pagando le tasse regolarmente, contribuendo allo sviluppo di una società civile e democratica.
Dove, in futuro i nostri figli o parenti potranno collocarci, se non sarà per noi possibile ricoprire le quote da pagare per farci assistere? 
La quota regionale per la lungo degenza medica già non esiste più. E le quote della nostra pensione e dell’età pensionabile, esisteranno? 
Si attua una politica d’intervento al soccorso  di emergenza, ma è oggi che dobbiamo pensare al nostro futuro. E se  non oggi, quando?
Riflettiamo insieme su quanto sta accadendo…

(l'autrice di questa lettera desidera restare anonima)

sabato 2 aprile 2011

Brigantaggio nel Sud dopo l'Unità d'Italia

L'origine del fenomeno è da attribuirsi alla miseria e alle continue angherie che il popolo dei contadini doveva continuamente sopportare da parte dei pochi e soliti padroni.
Un buon margine di colpa per la nascita del brigantaggio è da attribuire all'illusione che con l'Unità d'Italia molte cose sarebbero cambiate, invece la vita dei contadini andò sempre più peggiorando, soprattutto a causa della miope e cattiva politica sabauda che trattò il meridione al pari di una colonia conquistata con mire espansionistiche. Infatti i piemontesi non fecero altro che sostituire i Borboni nell'amministrazione del potere, alimentando lo scontento e la delusione che poi sfociarono nella ribellione.
Era la rivolta del pane soffocata nel sangue dall'esercito (questo mi fa andare inevitabilmente alla recente rivolta dei Tunisini. Certamente la storia è diversa, ma non lo sono i motivi che spingono un popolo alla ribellione e alla rivendicazione del diritto di vivere una vita più dignitosa).
Sin dal 1861 gruppi formati da contadini salariati ridotti alla fame, disertori ed evasi dalle carceri si davano al brigantaggio nelle forme primitive fatte di furti, vendette e vandalismi. Poi si organizzarono in bande con un capo che si eleggeva in base alla sua abilità, autorevolezza e capacità di essere spietato. Quindi l'esercito divenne sempre più spietato, al pari degli stesi briganti. I piemontesi dedicarono molte risorse per sconfiggere il fenomeno.
All'inizio del 1870 la violenta repressione a cui tutto il meridione fu sottoposto (dai briganti effettivi a quelli sospettati di esserlo, molti vennero sommariamente imprigionati e condannati), si concluse il periodo del brigantaggio organizzato: una vera e propria guerra civile era terminata, ma rimanevano comunque irrisolti i grandi problemi del meridione che hanno provocato la sua arretratezza nei confronti del resto dell'Italia. 
Da viva testimonianza so per certo che il brigantaggio si è protratto fino agli anni '50, e il ricordo di quel trattamento da parte dei piemontesi verso briganti sospetti ed effettivi, ha accompagnato i contadini nel corso degli anni a venire, così da finire con l'avere una visione poco chiara dei motivi reali per cui nacque il brigantaggio.
 Mio padre era stipendiato annualmente e soltanto una piccolissima parte del raccolto andava a noi. I briganti ancora esistevano e a sentirne di cotte e di crude ne avevamo tutti paura. Anche se i vecchi ci dicevano che avevano sempre difeso i contadini, a noi ragazze ci raccomandavano di non andare mai da sole per i boschi perché questi assalivano e depredavano le persone se gli capitava l'occasione ghiotta. Più di una volta è successo che venivano a dormire nella stalla della masseria dove vivevamo. Una mattina ho sentito mio padre parlare con mia madre. Era molto preoccupato.  Mi ricordo ancora che le disse: "per poco non lo infilzavo con il forcone quando ho raccolto il fieno da dare alle mucche... ma perché ha scelto proprio questa stalla? dobbiamo stare attenti che abbiamo una figlia di 13 anni...".  Mi racconta una donna della Basilicata, classe '37, vissuta fino al 1955 in una masseria con i genitori che lavoravano la terra dei padroni. La preoccupazione dei suoi genitori era più che giustificata visto che gli atti di vandalismo continuavano senza posa verso i padroni delle terre. Però questi nelle loro masserie ci andavano soltanto per immagazzinare i raccolti e non per viverci, quindi i pericoli a cui erano sottoposti i contadini potevano essere reali (e non solo nell'immaginario collettivo), visto che erano loro che le gestivano in cambio di un esiguo salario.
Quante volte in paese si raccontava che erano andati alla masseria di tizio e caio e avevano rotto le uova, tagliato tutto il formaggio, rotto i fiaschi dell'olio, rovinato i prosciutti... e questo dopo aver mangiato e bevuto! Quello era tutto il lavoro che avevamo fatto noi . I padroni non facevano altro che usare le fattorie come magazzini, ma poteva capitare che se la prendessero pure con chi lavorava per loro perché magari qualcuno diceva che quello o quell'altro aveva fatto la spia... Fortuna che grosso modo ci conoscevamo tutti! Anche quel brigante lo conoscevamo e sapevamo chi era la sua famiglia, ma non abbiamo mai detto niente.
Questo episodio ancora vivo nella memoria di Eva, mi ha reso chiaro quale triste risultato si ottenne con la cattiva valutazione di un fenomeno che quel  nuovo potere politico (che beatamente viveva nell'Italia settentrionale) non ha voluto comprendere ma soltanto soffocare.
A distanza di 150 anni, a parte la fine del brigantaggio, la situazione per l'Italia meridionale è rimasta invariata. I ricchi e potenti continuano a vivere al nord e a infischiarsene della povertà che attanaglia il sud. E parlo di povertà generale, quindi non solo finanziaria. L'ignoranza è una piaga che non permette l'evoluzione individuale e sociale.
La condizione culturale è stata volutamente trascurata , ma in particolare lo è stata quella delle donne che hanno dovuto attendere gli anni '80 per comprendere che le lotte partite da Roma in su, volte alla rivendicazione dei diritti delle donne, stavano liberando anche noi dal giogo del servilismo, del sessismo, del ruolo subalterno in famiglia e in società. Ma non partecipando attivamente, i pregiudizi dei paesani rivolti alle "donne libertine" li hanno subiti specialmente le ragazze della nuova generazione che hanno finito per aprire la strada alle altre andando a studiare fuori, andando a vivere per conto loro, lasciando il nucleo familiare da nubili.
L'Unità d'Italia avrebbe dovuto cambiare le condizioni di tutto il Paese, e invece a tutt'oggi la parte nord ancora discrimina la parte sud che non ha avuto le giuste opportunità di evolvere al pari delle altre regioni della Penisola, e quindi, non gli ha permesso di potersi sentire davvero parte integrante della nostra Nazione.
Ora, quando sento la frase "il governo ci ha abbandonato" e quando la sento arrivare proprio dalle isole (Sicilia e Sardegna) e dall'Italia del Sud, non posso fare a meno di dargli un significato diverso da quello che gli davo prima di scrivere queste considerazioni e di aver ascoltato l'esperienza di Eva.
Trovo che l'Unità d'Italia sia ancora in atto, pure se abbiamo appena festeggiato il 150° anniversario.