domenica 30 novembre 2014

#GiornalismoDifferente: una campagna per cambiare linguaggio

Il giornalismo italiano sembra completamente sordo ai progressi della società in fatto di questione di genere e, infatti, continua a utilizzare un linguaggio, delle immagini e un immaginario retrogrado, violento e discriminante.
E’ tempo di pretendere un cambiamento.
E’ tempo di pretendere che il giornalismo italiano si metta al passo coi cambiamenti della società, della realtà, che rappresenti il meglio di questa e superi i retaggi della cultura patriarcale, maschilista e omo-transfobica.
E’ tempo di pretendere un Giornalismo Differente, perché del valore di informare rimanga anche quello di innovare.
giornalismo differente
La realtà dipende dalle sue rappresentazioni.
Di pari passo vanno le modifiche di una e delle altre, a specchio.
Ma se la realtà inizia a usare vocaboli, idee, immaginari che non trovano mai una rappresentazione massiccia, lo scollamento è inevitabile.
Solo da poco il giornalismo ha introdotto il termine femminicidio nel proprio vocabolario.
Un passaggio fondamentale per ripristinare una rappresentazione che rispondesse alla realtà: donne uccise in quanto donne.
Eppure a questo non è seguito un miglioramento complessivo del linguaggio o dell’approccio giornalistico al genere, soprattutto per quello che riguarda i giornalisti di cronaca –cronaca nera in particolare.
E’ tempo di suggerire quindi al giornalismo italiano, tutto, alcune semplici regole di linguaggio e approccio, che nel 2014 sarebbe proprio il caso di applicare.

Oggi è il 25 novembre, Giornata internazionale della lotta alla violenza sulle donne.
Abbiamo deciso di lanciare oggi questa campagna perché crediamo che il linguaggio mediatico comunichi la cultura che ci rispecchia,  consolidando la nostra visione del mondo e che, per questo, il giornalismo italiano debba cambiare, migliorare, evolvere.
Diffondiamo per questo un manifesto che speriamo incontri la vostra condivisione e un video per aiutare a rilevare alcune delle nostre principali rivendicazioni.
Chiediamo un Giornalismo Differente, lo facciamo lanciando un hashtag #giornalismodifferente e delle prime rivendicazioni:

1. Un femminicidio non è colpa della disoccupazione / della depressione / della passione.
La violenza sulle donne è sempre esistita, con o senza crisi economica. Un uomo non picchia, umilia o uccide una donna perchè è rimasto disoccupato. Lo fa perchè la sua cultura lo autorizza a sentirsi superiore alle donne, a sentirsi padrone delle loro vite, a dominarle psicologicamente e fisicamente. Anche le donne rimangono disoccupate ed entrano in depressione, anche le donne, anzi soprattutto le donne, soffrono la crisi dentro e fuori casa, ma per un uomo queste diventano possibile “giustificazioni” ad un femminicidio, autorizzato invece dalla sua cultura patriarcale.
Quella stessa cultura che insegna alle donne a subire passivamente in nome dell’accoglienza e la mitezza  per cui è programmata.
Ecco tre esempi tratti da Corriere della Sera, AGI – agenzia giornalistica Italia, e Repubblica.it

disoccupato
agi
depressione
2. Non è il raptus che uccide!
Allo stesso modo, il raptus è un alibi che il giornalismo fornisce a chi uccide la propria compagna, moglie, fidanzata, amica.
La violenza sulle donne è un fenomeno strutturale. Ha radici profonde e non può essere ricondotta a un momento di violenza improvviso. Piuttosto, si tratta di anni di piccole avvisaglie, di atteggiamenti psicologicamente o fisicamente violenti, di affermazione di cultura maschilista, o spesso di stalking e intimidazioni che sfociano in maniera assolutamente premeditata nell’uccisione della donna che si è sottratta al possesso patriarcale.
In questo articolo ad esempio, Repubblica usa il termine raptus, per poi specificare però che i due avevano spesso litigi violenti.
raptus
3. No alle pornovittime!
Una donna rimane un oggetto sessuale anche da morta. Così non mancano gli esempi di vittime di femminicidio o di violenza sessuale, anche giovanissime –ritratte spesso dai giornali anche in bikini–, sottolineandone l’avvenenza.
Come se da quella dipendesse la sorte di una violenza, di un’aggressione.
Se poi la donna uccisa è una donna famosa anche per la sua avvenenza, non le si risparmiano gallery su gallery della sua immagine ammiccante, anche da morta. Pensiamo ad esempio allo sciacallaggio mediatico su Reeva Steenkamp, la donna uccisa dal campione paraolimpico Pistorius.
Anche le foto di repertorio scelte dai giornali per parlare di violenza sessuale e femminicidio rimandano spesso a un immaginario sessualizzato: minigonne cortissime, calze autoreggenti, magliette scollate. E poi pose rannicchiate nel buio, mani sulla faccia. Come se la vergogna fosse la loro e non quella di chi le ha aggredite.
Porno + vittimizzazione, un pessimo risultato.
Le immagini che seguono sono alcune tra le più utilizzate dai giornali quando si parla di stupro, rintracciabili dai free press come Leggo fino a Il Messaggero.
pornovittima

pornovittima2

4. Cosa indossa una vittima di violenza? Chissenefrega!
Più chiare di così non si poteva essere. Ancora oggi spesso i giornalisti specificano oltre all’aspetto fisico anche l’abbigliamento di una vittima di violenza di genere. Perchè? A cosa serve dirci che indossava una minigonna? O che era bella? A nulla.
Perchè la violenza è trasversale e non colpisce solo donne avvenenti o vestite in modo succinto.
Anzi, perlopiù avviene dentro le mura domestiche, in famiglia, dove davvero nulla importa come si è vestite.
Se la vittima di una violenza sessuale di qualsiasi tipo è una donna avvenente si susseguono nell’articolo le sue immagini, persino in bikini, per attirare lettori, altrimenti si allude al suo aspetto e al suo abbigliamento, se si tratta di una sex worker, anche al suo lavoro ovviamente, nel quadro di un generale slut shaming, ovvero di una colpevolizzazione costante delle donne.
Così la notizia di una donna molestata sessualmente diventa “giustificata” da come quella, per di più ballerina di un night, andava vestita, nell’articolo di Treviso Today.
lap dance

5. Il capofamiglia non esiste più!
Il capofamiglia. Una parola usata molto spesso dal giornalismo italiano, ma che ci riporta indietro a quando l’Italia rispettava ancora la norma contenuta nell’art. 144 del Codice civile, che prevedeva il ruolo di capofamiglia e lo attribuiva al marito, abrogata poi dalla legge 19 maggio 1975, n. 151 con la Riforma del diritto di Famiglia. Il capofamiglia non esiste più da 40 anni, ma il giornalismo italiano continua a usare questa espressione.
Come continua a usare la giustificazione dell’onore e della gelosia maschile per parlare di violenza, riportandoci a un’altra pietra miliare del nostro diritto, il delitto d’onore, abrogato solo nel 1981.
Questi retaggi maschilisti, seppur eliminati dal diritto ufficiale, persistono nel linguaggio giornalistico, tradendo la sostanziale adesione a un modello culturale da cui sarebbe anche tempo di affrancarsi.
Ancora Repubblica.it ci fornisce un esempio dell’uso improprio di “capofamiglia”, (in questo articolo) che viene usato per intendere l’uomo del nucleo familiare dove, tra l’altro, era invece la donna a provvedere al mantenimento della famiglia.
capofamiglia

6. unA transessuale, al femminile
Alla condizione femminile, non può non essere associato il trattamento linguistico-mediatico riservato anche a persone LGBTQI, soprattutto per quel che riguarda LE transessuali, relegate tanto alla macchietta che a cui i media le condannano da non meritare nemmeno l’articolo femminile.
Una piccolezza, risponderà il/la giornalista dalla sua scrivania.
Invece no. Perché il genere maschile e femminile non sono solo acquisizioni basate sul sesso biologico, ma anche faticose conquiste identitarie. E ciò va rispettato.
Il transessualismo indica l’esperienza vissuta da tutte quelle persone che non sentono di appartenere al sesso biologico acquisito con la nascita e che, quindi, intraprendono un percorso di adattamento del proprio fisico alla percezione psicologica ed emozionale che hanno di sé. Dunque se quella persona ha scelto di appartenere al sesso e al genere femminile,i media dovrebbero evitare di rimetterle addosso un’etichetta maschile ( e viceversa ), allo stesso modo in cui la società, tutta, dovrebbe acquisire la capacità di relazionarsi alle persone in base alle scelte che compiono e non ai ruoli precostituiti che si vogliono imporre loro.
Così, anche il Corriere della Sera, che è solo uno dei giornali indecisi sul genere da attribuire a persone transgender, in questo articolo sulla morte di Brenda, trans tristemente nota per il suo coinvolgimento nello “scandalo” Marrazzo, alterna il maschile al femminile.
brenda

7. Vogliamo parlare di donne vive (e fuori dai ghetti rosa)?
Più in generale, il giornalismo tende a narrare e rappresentare le donne solo come vittime di violenza. Affollano le pagine dei quotidiani e le schermate dei pc tutte le donne stuprate, uccise, aggredite, sfgurate. Di donne forti, uscite dalle difficoltà, capaci di reagire o che propongono un immaginario differente da quello descritto finora non c’è quasi traccia.

COME ADERIRE A #GIORNALISMODIFFERENTE
Per aderire alla campagna inviateci la vostra adesione, singola o collettiva a narrazionidifferenti@gmail.com
Questo manifesto per il Giornalismo Differente, con tutte le sue adesioni, sarà inviato all’attenzione delle principali testate nazionali.
Diffondete l’hashtag #giornalismodifferente su Twitter unito alle nostre e alle vostre rivendicazioni, taggando le principali testate italiane.

#giornalismodifferente Un femminicidio non è colpa della disoccupazione!

                                Non è il raptus che uccide!

                                No alle pornovittime!

                                Cosa indossa una vittima di violenza? Chissenefrega!

                                Il capofamiglia non esiste più!

                                UnA trans, al femminile!

Fuori dai ghetti rosa!

mercoledì 26 novembre 2014

Roma: presunto suicidio di un carabiniere

E' una notizia di oggi e mi ha colpita quando l'ho letta (trovo sempre "strano" quando sento di queste morti insolite) e comunque, anche se in genere non approfondisco (leggo la notizia e basta), in questo caso l'intuito mi ha "suggerito" di andare a guardare anche il suo profilo facebook  (oltre alla notizia data dai media). E ora... non posso fare a meno di postare qui alcune cose estrapolate dalla sua pagina. Davvero una storia stramba...

prima la notizia nuda e cruda:

Un carabiniere originario della provincia di Terni, Luis Miguel Chiasso, è stato trovato morto, con un colpo di pistola al cuore, ieri sera nella sua stanza presso la caserma dove prestava servizio a Roma. L'ipotesi è che il militare dell'VIII Reggimento Lazio si sia suicidato con l'arma d'ordinanza.

foto di Luis Miguel Chiasso.

È accaduto intorno alle 22.30 di ieri nella caserma 'Salvo D'Acquisto', nella zona nord della città. Il giovane è stato trovato a terra morto da alcuni colleghi. La stanza sembra fosse chiusa a chiave dall'interno.
Poco prima di morire sul suo profilo Facebook aveva scritto: «Lavoro per i servizi segreti italiani e internazionali», aggiungendo «mi resta poco da vivere, so già che stanno arrivando per chiudere la mia bocca per sempre».

e ora i post estrapolati dalla sua pagina fb:

Luis Miguel Chiasso ha aggiunto 3 nuove foto.
Ciao popolo. Vi prego condividete e urlate al mondo intero.
Sono luis miguel chiasso qualcuno mi conosce sente le mie parole alla TV mi sono creato il personaggio con un attore di Adam kadmon, vi avevo promesso che avrei levato la maschera come faccio a sapere tante cose? Semplice
Lavoro per i servizi segreti italiani ed internazionali da tempo sto vedendo cose a noi sconosciute cose non di questo mondo ma dei nostri creatori, purtroppo sapere determinate cose porta delle responsabilità , mi resta poco da vivere so già che stanno arrivando per chiudere la mia bocca per sempre.
Anni fa giurai questo "Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni".
E ora popolo vi dico combattete ribellatevi fate che la mia morte non sia vana perché il popolo ha il diritto alla disobbedienza verso il governo quando questo perda legittimità agendo fuori dai limiti del mandato e il diritto all’uso consapevole dell’illegalità giustificato dallo stato di guerra che i governanti, tradendo il patto, avrebbero ripristinato:
“E se coloro che con la forza sopprimono il governo sono ribelli, i governanti stessi non possono essere giudicati altrimenti, se essi, che sono stati istituiti per la protezione e la conservazione del popolo e delle sue libertà e proprietà, le violano con la forza e tentano di sopprimerle, e quindi, ponendosi in stato di guerra con quelli che li avevano stabiliti come protettori e custodi della loro pace, sono propriamente, e con la maggiore aggravante, rebellantes, cioè a dire ribelli. Ma se coloro, che dicono che questa dottrina getta il fondamento della ribellione, vogliono dire che può dare occasione a guerre civili o disordini intestini il dire al popolo che esso è sciolto dall’obbedienza quando si perpetrano attentati illegali contro le sue libertà e proprietà e può opporsi alla violenza illegittima dei suoi governanti istituiti, quando essi violino le sue proprietà contro la fiducia posta in loro, e che perciò questa dottrina, essendo così esiziale per la pace nel mondo, non deve essere ammessa, per la stessa ragione essi potrebbero parimenti dire che uomini onesti non possono opporsi a briganti e pirati, per il fatto che ciò può dar occasione a disordini o versamenti di sangue. Se in tali occasioni avviene qualche male, esso non deve essere imputato a chi difende il proprio diritto, ma a chi viola il diritto dei vicini. Se l’uomo innocente e onesto deve, per amor di pace, cedere passivamente tutto ciò che possiede a colui che vi attenta con la violenza, vorrei che si pensasse che razza di pace vi sarebbe al mondo, se la pace non consistesse che in violenza e rapine, e non dovesse essere conservata che per il vantaggio di briganti e oppressori. “
Un abbraccio Luis Miguel Chiasso (Adam)


foto di Luis Miguel Chiasso.Luis Miguel Chiasso
6 novembre alle ore 14.04 ·

Piuttosto che riscrivere i libri di testo, della scienza, delle religioni, della storia crediamo che sia il caso di investigare a fondo se non vi siano altre spiegazioni, più semplici.
Questi scienziati dimenticano che è stato registrato un eccesso di energia non riconciliabile con nessuna reazione chimica, un eccesso di fede non riconciliabile con nessuna spiegazione scientifica, e Darwiniana. Questo pure contrasta con 100 anni di esperienza. In un certo senso contrasta con le esperienze ufficiali degli ultimi 500 anni. Galileo rischiò di essere bruciato vivo perché contrastò 3 mila anni di conoscenza scientifica consolidata.
— ispirato.

Luis Miguel Chiasso
17 luglio ·

Ho Visto cose nella mia vita molto strane come ad esempio riuniti in una stanza il co-fondatore di Facebook il ministro degli affari esteri Cinese il governatore della banca centrale Europea un deputato americano e il capo redattore del settimanale inglese di The Economist.
No non è una barzelletta provate a rispondervi.
Non vi viene in mente niente?
E se aggiungessi che si incontrano ogni anno in via non ufficiale ed a porte chiuse.
— curioso.

Luis Miguel Chiasso
17 giugno · Modificato ·

Mangiando al Mac Ti sei mai accorto dell'art.1 comma 429 legge 311/2004. Cioè scontrino non fiscale ?Cosa significa? Te lo spiego subito. Gli azionisti proprietari delle multinazionali hanno tutti la residenza in paradisi fiscali che NON pagano tasse e usando la legislazione (nazionali e internazionali) particolarmente favorevole riservata alle aziende multinazionali, NON pagano tasse in nessuno dei paesi in cui operano. Naturalmente i nostri dipendenti al governo sanno bene questa cosa e, visto che i loro lauti stipendi NON sono pagati dalle multinazionali, dovevano trovare altri “polli” da spennare. Presto fatto! Con la legge finanziaria del 2004 , si è introdotto nella legge finanziaria alcuni commi scritti apposta per:

1 –Liberare definitivamente le società multinazionali della scocciatura di dover emettere scontrini fiscali

2 –Incassare giornalmente l’obolo che i nostri dipendenti destinano al pagamento dei propri stipendi.

Non hai capito bene, vero? L’obolo che versiamo ai nostri dipendenti è l’IVA, che versiamo noi, NON le multinazionali, che trattengono per sè il 100% degli utili! Infatti la normativa prevede che giornalmente venga comunicato l’incasso ai fini IVA, che è l’unica cosa che interessa ai nostri dipendenti. Hai capito perchè i piccoli negozianti sono destinati a chiudere? Perchè i nostri dipendenti hanno scelto di delegare le grandi multinazionali a fare da esattore al posto loro e loro, in cambio, NON pagano tasse.
Condividetelo amici fatelo girare
Luis Miguel Chiasso

Luis Miguel Chiasso 


“Un giorno qualunque, di un turno di servizio qualunque, uno scenario visto e rivisto, l’ennesimo delinquente che inizia a correre. Ma stavolta mi fermo, per qualche istante, inizio a pensare, una domanda si fa largo nella mia testa “perchè?”.
Perchè inseguirlo? Perchè corrergli dietro? Non sarebbe più facile “perderlo di vista”, dire “è riuscito a scappare”? Perchè lo facciamo?
Inseguirlo comporta tutta una serie di rischi, qualche livido se sei fortunato, che i tuoi figli crescano solo con la tua foto sul comodino, se non lo sei.
Ma non è tutto, no, perchè puoi anche avere la meglio tu, lo speri, però devi stare molto attento, non fargli male, non provarci, non vorrai mica che qualche giornalista o passante con l’immancabile telefonino ti riprenda per poi darti in pasto ai media? Fermalo, ma moderatamente, con contegno. O davanti al Giudice, insieme a lui, ci finirai anche tu.
E’ giusto, parli con la vittima di uno stupro, magari con una coppia di anziani in lacrime perchè hanno appena perso i risparmi di una vita, e poi, quando hai davanti il colpevole, che magari prova anche a colpirti, sicuramente ad insultarti o sputarti, dovresti cortesemente ammanettarlo? Ci avete preso per dei robot? Nessuna adrenalina, nessuna emozione. Ok.
Beh, ma mi direte, il nostro compito è arrestarlo e basta, poi ci penserà la Giustizia. Ora, io non vorrei allarmarvi, ma forse il dubbio lo avete già, la legge italiana è efficace solo con le persone oneste, solo con chi le multe deve pagarle, solo con chi ha la fedina penale pulita e si troverebbe la vita stravolta da una denuncia, per tutti gli altri è solo un contrattempo.
Ricordo una volta, stavo parlando con un poliziotto della Repubblica Ceca, si parlava di lavoro, ad un certo punto gli ho spiegato cosa fossero gli arresti domiciliari. E’ scoppiato a ridere.
La Giustizia italiana… ho perso il conto delle volte che ho visto uscire dal Comando persone fermate, persone che qualche ora prima mi hanno colpito, offeso, prima di me, perchè io devo anche compilare chili di scartoffie per ogni dannata cosa che faccio, lo richiede la burocrazia.
Si, ma lo fate per le gente, avete scelto di difendere le persone. Vero. Ma quando ho scelto di indossare la mia divisa nessuno mi aveva detto che in questo paese non c’è alcun rispetto per le divise, c’è timore, diffidenza, non rispetto per quello che facciamo. Basta fare un giro su internet, dove le persone hanno erroneamente quella sensazione di poter dire liberamente tutto quello che vogliono, per vedere i commenti che le gente ci riserva, sempre pronta a gridare allo scandalo, al sopruso, alla vergogna.
Però dai, fate una bella vita, un sacco di privilegi. Si, vero. Ricordo con piacere ogni maledetto panino del McDonald mangiato di corsa sulla macchina per cenare, tutti i caffè e le vitamine prese dopo un turno di notte, tutte le volte che invece di farmi gli affari miei sono intervenuto fuori servizio e ho passato il mio giorno libero a compilare atti, accompagnato dagli insulti della mia ragazza perchè sono stato un incosciente.
E di quello che giornalmente vediamo in strada? Violenza, morti, ingiustizia. Questo lavoro ti cambia, ti segna, ti rende cinico. Sai come si riconosce qualcuno che ha portato la divisa per molti anni? Dagli occhi, dallo sguardo. E’ ostile, duro, stanco.
Ma non importa, dobbiamo essere robot, giusto?
E, come robot, infallibili, non sia mai che qualche colpevole non sia preso subito, prontamente, alla fine è tutto semplice, non vedete come fanno in CSI? Incompetenti, in America si che sanno lavorare, mica come voi qui in Italia!
Computer con schermo 3D, laboratori altamente tecnologici, analisi fantascientifiche, cosa vuoi che sia trovare il colpevole?
Ho brutte notizie per voi. I nostri PC hanno ancora lo schermo a tubo catodico, e la carta della stampante a volte me la devo portare da casa.
Quindi, detto questo, perchè correre? Perchè non far finta di non vedere?
Non lo so. Indossare una divisa, rispettarla, è una cosa strana da spiegare, forse è vero, ti nobilita, forse ti spinge sempre a fare la cosa giusta, nonostante tutto. Ogni giorno lotti per un’ideale, per un qualcosa che sai essere irreale, ma non per te.
E poi ci sono quelle cose, che chi non indossa una divisa non può capire, quelle piccole cose come il sollievo di rientrare a fine turno e vedere che lo hanno fatto anche tutti i colleghi, il restituire anche una semplice borsetta ad una signora anziana che ti abbraccia, i bambini che ti salutano per strada, che ti chiedono di vedere come è fatta la macchina di servizio, che impazziscono se gli regali una spilla e ti dicono ” da grande voglio farlo anche io…”, i grazie delle persone, e non intendi quelle frasi piene di ipocrisia, i “grazie, buon lavoro” che ti rifila di tanto in tanto qualcuno a cui hai appena risparmiato un verbale, intendo i grazie sinceri, quelli rari, di qualcuno a cui hai appena salvato qualcosa di importante.
Ed il portare la mano alla visiera per l’ennesimo collega morto in servizio. La rabbia di quel momento mi ha sempre dato una forza inesauribile, la forza di tirare avanti per perseguire un obiettivo che nessuno vede. Tranne te.
Fanculo ai pensieri, anche questa volta, si corre.”
L.M.C

Luis Miguel Chiasso
29 maggio ·

Se da giovane capisci il sistema Italiano devi conoscere questa regola "la regola del 5 per cento, della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura delle mazzette e delle bustarelle che, prima ancora che i camorristi o i mafiosi, ha diffuso nel nostro territorio proprio lo Stato che invece è stato proprio assente nell'offrire delle possibilità alternative e legali alla propria popolazione".
— diverso presso Palazzo Dei Congressi.

giovedì 20 novembre 2014

ETERNIT, la giustizia italiana colpisce ancora

La sentenza di prescrizione in favore dell'Eternit sulla questione dell'AMIANTO, che sta uccidendo Casale Monferrato e molte altre regioni del paese, apre uno squarcio nel sistema "imprenditoriale" italiano, perché revoca alla magistratura quel consueto ruolo di "supplenza" e mediazione sociale (che non é la sua terzietà, ma in Italia ha funzionato, talvolta) in assenza di un vero interlocutore politico, sia Aziendale (come da Costituzione) o Amministrazione che dir si voglia, pronto ad assumersi le Pubbliche responsabilità che la questione pone.
La sentenza di prescrizione in favore dell'Eternit sulla questione dell'AMIANTO, che sta uccidendo Casale Monferrato e molte altre regioni del paese, apre uno squarcio nel sistema "imprenditoriale" italiano, perché revoca alla magistratura quel consueto ruolo di "supplenza" e mediazione sociale (che non é la sua terzietà, ma in Italia ha funzionato, talvolta) in assenza di un vero interlocutore politico, sia Aziendale (come da Costituzione) o Amministrazione che dir si voglia, pronto ad assumersi le Pubbliche responsabilità che la questione pone.
Perché la lunga LOTTA SOCIALE del piccolo centro di Casale, ha messo al centro alcune crucialità, sistemiche, nel modello "sviluppista" che si é imposto in Italia durante il corso dell'industrializzazione forzosa del secondo dopoguerra, e i danni ai lavoratori e all'ambiente, se hanno generato procedimenti giudiziari hanno finito per stabilire la non punibilità dei datori di lavoro. Anche il caso ILVA, guardato da vicino, su cui tanto gossip si é speso e speculato da destra, non conferma altro, e infatti sul patibolo é stato messo l'unico amministratore (Nichi Vendola) che coraggiosamente ha sfidato la famiglia Riva fino ad allora impunita, e non il sistema d'Impresa cui questo era e resta espressione, dalla sua latitanza.
Ovvero, non si é ancora celebrata la giustizia di quei 3.000 morti di mesotelioma di Casale (e non diciamo di tutti quelli che verranno ancora!) non solo per le ENORMI PROPORZIONI SOCIALI DEL DANNO, che certo imporrebbero una rivisitazione degli stessi assetti imprenditoriali di alcune importanti "spettabili ditte", ma anche una messa al centro DEL CONTO DEI COSTI AMBIENTALI dell'intero sistema di produzione e con ciò non di meno, negli "oneri sociali" disattesi per decenni grazie ad arcaiche connivenze istituzionali che hanno sempre privilegiato il lavoro sporco di scaricare i costi sul lavoro, per guadagnare competitività sul mercato, piuttosto che investire in innovazione e progresso.
La denuncia degli operai e dei loro familiari morti in quella che possiamo chiamare moderna strage degli innocenti, non ha colpito solo la grande fabbrica infatti, perché le vittime principali sono i lavoratori, ma non secondarie o minori sono le morti di donne e bambini e anziani parenti; perché l'amianto non smetterà di mietere vittime in tutto il Paese finchè non si BONIFICHERA' il territorio infestato nei lughissimi decenni trascorsi per il suo massiccio uso sia edile che in lavorazioni industriali.
I Martiri di Casale sono da considerare morti sul lavoro, le vittime dell'amianto sul territorio morti civili?
O forse lo Stato di morte civile, é quello raggiunto da una classe intera, quella imprenditoriale, in combutta con un ceto politico che ha governato dissennatamente a scopo di profitto negli ultimi 60 anni.
Una classe imprenditoriale talmente avara e incline alla spoliazione e alla rendita, da aver selezionato finemente la competizione con edulcoranti come la Mafia e l'uso sistematico delle corruttele clientelari.
D'altronde in Italia lavorando si resta poveri...ma non é che non circoli i denari.
Quella, un'intera classe imprenditoriale corrotta e indolente, che non può assolvere la Magistratura non solo perchè non é suo precipuo compito istituzionale (é il Corpo dello Stato più conservatore che ci sia, ricordo nel caso a qualcuno sia sfuggito, di passaggio, il senso di uno Stato tripartito), perché é il giudizio politico di un intero paese che attende.
E non col silenzio lugubre di una giornata di lutto nazionale, ma nell'unica maniera che può fare chi non vuole dimenticare: continuando la lotta per la verità e la giustizia di chi purtroppo, poiché ci ha preceduto, troppo presto ci ha lasciato e non può più parlare.
Nel frattempo vale la pena di ricordare 
che il fischio delle vittime di Casale, 
non ci lascerà dormire...

Perché la lunga LOTTA SOCIALE del piccolo centro di Casale, ha messo al centro alcune crucialità, sistemiche, nel modello "sviluppista" che si é imposto in Italia durante il corso dell'industrializzazione forzosa del secondo dopoguerra, e i danni ai lavoratori e all'ambiente, se hanno generato procedimenti giudiziari hanno finito per stabilire la non punibilità dei datori di lavoro. Anche il caso ILVA, guardato da vicino, su cui tanto gossip si é speso e speculato da destra, non conferma altro, e infatti sul patibolo é stato messo l'unico amministratore (Nichi Vendola) che coraggiosamente ha sfidato la famiglia Riva fino ad allora impunita, e non il sistema d'Impresa cui questo era e resta espressione, dalla sua latitanza.
Ovvero, non si é ancora celebrata la giustizia di quei 3.000 morti di mesotelioma di Casale (e non diciamo di tutti quelli che verranno ancora!) non solo per le ENORMI PROPORZIONI SOCIALI DEL DANNO, che certo imporrebbero una rivisitazione degli stessi assetti imprenditoriali di alcune importanti "spettabili ditte", ma anche una messa al centro DEL CONTO DEI COSTI AMBIENTALI dell'intero sistema di produzione e con ciò non di meno, negli "oneri sociali" disattesi per decenni grazie ad arcaiche connivenze istituzionali che hanno sempre privilegiato il lavoro sporco di scaricare i costi sul lavoro, per guadagnare competitività sul mercato, piuttosto che investire in innovazione e progresso.

La sentenza di prescrizione in favore dell'Eternit sulla questione dell'AMIANTO, che sta uccidendo Casale Monferrato e molte altre regioni del paese, apre uno squarcio nel sistema "imprenditoriale" italiano, perché revoca alla magistratura quel consueto ruolo di "supplenza" e mediazione sociale (che non é la sua terzietà, ma in Italia ha funzionato, talvolta) in assenza di un vero interlocutore politico, sia Aziendale (come da Costituzione) o Amministrazione che dir si voglia, pronto ad assumersi le Pubbliche responsabilità che la questione pone.
Perché la lunga LOTTA SOCIALE del piccolo centro di Casale, ha messo al centro alcune crucialità, sistemiche, nel modello "sviluppista" che si é imposto in Italia durante il corso dell'industrializzazione forzosa del secondo dopoguerra, e i danni ai lavoratori e all'ambiente, se hanno generato procedimenti giudiziari hanno finito per stabilire la non punibilità dei datori di lavoro. Anche il caso ILVA, guardato da vicino, su cui tanto gossip si é speso e speculato da destra, non conferma altro, e infatti sul patibolo é stato messo l'unico amministratore (Nichi Vendola) che coraggiosamente ha sfidato la famiglia Riva fino ad allora impunita, e non il sistema d'Impresa cui questo era e resta espressione, dalla sua latitanza.
Ovvero, non si é ancora celebrata la giustizia di quei 3.000 morti di mesotelioma di Casale (e non diciamo di tutti quelli che verranno ancora!) non solo per le ENORMI PROPORZIONI SOCIALI DEL DANNO, che certo imporrebbero una rivisitazione degli stessi assetti imprenditoriali di alcune importanti "spettabili ditte", ma anche una messa al centro DEL CONTO DEI COSTI AMBIENTALI dell'intero sistema di produzione e con ciò non di meno, negli "oneri sociali" disattesi per decenni grazie ad arcaiche connivenze istituzionali che hanno sempre privilegiato il lavoro sporco di scaricare i costi sul lavoro, per guadagnare competitività sul mercato, piuttosto che investire in innovazione e progresso.
La denuncia degli operai e dei loro familiari morti in quella che possiamo chiamare moderna strage degli innocenti, non ha colpito solo la grande fabbrica infatti, perché le vittime principali sono i lavoratori, ma non secondarie o minori sono le morti di donne e bambini e anziani parenti; perché l'amianto non smetterà di mietere vittime in tutto il Paese finchè non si BONIFICHERA' il territorio infestato nei lughissimi decenni trascorsi per il suo massiccio uso sia edile che in lavorazioni industriali.
I Martiri di Casale sono da considerare morti sul lavoro, le vittime dell'amianto sul territorio morti civili?
O forse lo Stato di morte civile, é quello raggiunto da una classe intera, quella imprenditoriale, in combutta con un ceto politico che ha governato dissennatamente a scopo di profitto negli ultimi 60 anni.
Una classe imprenditoriale talmente avara e incline alla spoliazione e alla rendita, da aver selezionato finemente la competizione con edulcoranti come la Mafia e l'uso sistematico delle corruttele clientelari.
D'altronde in Italia lavorando si resta poveri...ma non é che non circoli i denari.
Quella, un'intera classe imprenditoriale corrotta e indolente, che non può assolvere la Magistratura non solo perchè non é suo precipuo compito istituzionale (é il Corpo dello Stato più conservatore che ci sia, ricordo nel caso a qualcuno sia sfuggito, di passaggio, il senso di uno Stato tripartito), perché é il giudizio politico di un intero paese che attende.
E non col silenzio lugubre di una giornata di lutto nazionale, ma nell'unica maniera che può fare chi non vuole dimenticare: continuando la lotta per la verità e la giustizia di chi purtroppo, poiché ci ha preceduto, troppo presto ci ha lasciato e non può più parlare.
Nel frattempo vale la pena di ricordare 
che il fischio delle vittime di Casale, 
non ci lascerà dormire...

La denuncia degli operai e dei loro familiari morti in quella che possiamo chiamare moderna strage degli innocenti, non ha colpito solo la grande fabbrica infatti, perché le vittime principali sono i lavoratori, ma non secondarie o minori sono le morti di donne e bambini e anziani parenti; perché l'amianto non smetterà di mietere vittime in tutto il Paese finchè non si BONIFICHERA' il territorio infestato nei lughissimi decenni trascorsi per il suo massiccio uso sia edile che in lavorazioni industriali.
I Martiri di Casale sono da considerare morti sul lavoro, le vittime dell'amianto sul territorio morti civili?
O forse lo Stato di morte civile, é quello raggiunto da una classe intera, quella imprenditoriale, in combutta con un ceto politico che ha governato dissennatamente a scopo di profitto negli ultimi 60 anni.
Una classe imprenditoriale talmente avara e incline alla spoliazione e alla rendita, da aver selezionato finemente la competizione con edulcoranti come la Mafia e l'uso sistematico delle corruttele clientelari.
D'altronde in Italia lavorando si resta poveri... ma non é che non circolino i denari.
Quella, un'intera classe imprenditoriale corrotta e indolente, che non può assolvere la Magistratura non solo perchè non é suo precipuo compito istituzionale (é il Corpo dello Stato più conservatore che ci sia, ricordo nel caso a qualcuno sia sfuggito, di passaggio, il senso di uno Stato tripartito), perché é il giudizio politico di un intero paese che attende.
E non col silenzio lugubre di una giornata di lutto nazionale, ma nell'unica maniera che può fare chi non vuole dimenticare: continuando la lotta per la verità e la giustizia di chi purtroppo, poiché ci ha preceduto, troppo presto ci ha lasciato e non può più parlare.

Nel frattempo vale la pena di ricordare che il fischio delle vittime di Casale, non ci lascerà dormire...

martedì 18 novembre 2014

L'attacco terroristico a Gerusalemme del 18.11.2014



articolo di

Gerusalemme, attacco a sinagoga: morti 4 fedeli ebrei. A Gaza Hamas distribuisce dolci in segno di festa

Quattro fedeli ebrei hanno perso la vita in un attentato terroristico contro una sinagoga di Gerusalemme Ovest, nel quartiere Har Nof. Due palestinesi, armati di coltelli, accette e armi da fuoco, hanno fatto irruzione all'interno del luogo di preghiera e hanno aggredito i presenti: 4 fedeli ebrei sono stati uccisi, almeno altri 8 sono rimasti feriti, alcuni in modo grave. I due aggressori palestinesi sono stati poi uccisi dalle forze di sicurezza intervenute sul posto. L'attacco, secondo quanto riporta il sito del quotidiano Yedioth Ahronoth, è stato rivendicato dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina, di ispirazione marxista, e lodato da Hamas e dalla Jihad islamica. "Reagiremo duramente": è la risposta immediata del premier israeliano Benyamin Netanyahu.
A Gaza Hamas ha distribuito dolciumi per le strade in segno di giubilo per la strage di oggi. Le immagini, riprese dalle reti sociali palestinesi, sono state rilanciate su Twitter dal portavoce militare israeliano, e poi riprese dal Jerusalem Post, che pubblica una foto Reuters.
"Due terroristi sono entrati nella sinagoga nel quartiere di Har Nof. Hanno attaccato i presenti con un'ascia, coltelli e una pistola. Quattro fedeli sono stati uccisi. I poliziotti arrivati sul posto hanno sparato e ucciso i due terroristi", ha spiegato il portavoce della polizia, Luba Samri. Secondo le prime investigazioni di cui danno conto i media israeliani, gli autori dell'attentato sarebbero di Jabel Mukaber, quartiere arabo di Gerusalemme est.
Nella sua rivendicazione Hamas spiega che l'attacco è la rappresaglia alla tensione sulla Spianata delle Moschee e all'uccisione - un suicidio secondo la polizia israeliana - ieri dell'autista di autobus palestinese di una ditta israeliana. L'uomo si chiamva Yusuf Hasan al Ramuni, 32enne padre di due bambini, residente nel quartiere di Ras al Amud, sul Monte degli Ulivi, a Gerusalemme Est. È stato trovato morto impiccato nella notte tra domenica e lunedì nella zona industriale di Har Hotzvim, a Gerusalemme Ovest.


articolo di
Portavoce e consigliere politico, Ambasciata d'Israele


Dalla sinagoga insanguinata scene di male puro, di odio, di un pogrom
Purtroppo anche oggi Gerusalemme è stata spettatrice di un altro orribile attacco terroristico. Questa volta un massacro di civili innocenti la cui unica colpa era quella di frequentare la preghiera mattutina in sinagoga. Altre 4 vittime che si aggiungono al desolante conteggio delle settimane precedenti.
Ancor più triste, se possibile, è che questo attacco terroristico non ha sorpreso nessuno di noi, non ha sorpreso neanche me che in Israele vivo a soli 5 minuti di auto da quella sinagoga. Sarebbe potuto succedere a me o alla mia famiglia... Proprio la scorsa settimana ho scritto qui circa l'incitamento pericoloso proveniente dai leader palestinesi e da parte di Abu Mazen stesso. Questi terroristi, da qualsiasi organizzazione terroristica provengano, che sia Hamas o un'altra ancora, sono il risultato di un fenomeno più ampio: un crescente clima di costante incitamento all'odio, alla violenza e ad azioni estreme contro lo Stato d'Israele e contro gli ebrei. Questa atmosfera ha origine nei libri di studio nelle scuole e nell'università, si alimenta nei sermoni degli imam nelle moschee, trova spazio nella propaganda dei media nazionali ufficiali e arriva infine nelle dichiarazioni irresponsabili dei leader.
Del resto poche ore dopo gli efferati omicidi, riportano diverse agenzie di stampa, sono state distribuite tra la popolazione di Gaza caramelle e dolci per festeggiare l'eroica azione da parte dei martiri. Come avvenuto in occasione dei precedenti attentati, su diversi social network sono state pubblicate vignette e grafiche che inneggiano all'uccisione degli ebrei in nome della lotta per la difesa della moschea di Al-Aqsa.
Il primo ministro Netanyahu ha fatto il possibile nelle ultime settimane per rassicurare la comunità internazionale che Israele non ha alcuna intenzione di cambiare lo status quo a Gerusalemme e per consentire il libero accesso ai credenti di ogni religione nei rispettivi luoghi sacri. Tale impegno è stato dimostrato ancora una volta in un incontro ad Aman tra PM Netanyahu e il re Abdullah.
Il terrore contro i cittadini israeliani e la distorta campagna internazionale contro lo Stato di Israele, dispiace per quanti cinicamente stanno conducendo questa sanguinosa campagna, non si tradurranno nella creazione di uno stato palestinese. Al contrario faranno solo allontanare la possibilità di vedere questo sogno realizzato.
Anche centinaia di riconoscimenti da parte di governi o parlamenti nazionali non cambieranno una semplice verità: uno Stato palestinese verrà creato solo come risultato di un dialogo con Israele, attraverso cui sia assicurato il diritto a esistere dello stato ebraico e in cui saranno soddisfatte tutte le esigenze di sicurezza. Come noi del resto, da anni ormai, siamo disposti a riconoscere il loro diritto a uno stato.
Prima che sia troppo tardi, questo è il tempo per la leadership palestinese di fermare l'incitamento, di agire attivamente contro la violenza e il terrorismo e non solo di condannarlo dopo gli attacchi. Basta con la retorica revisionista che mira a sovvertire l'evidenza storica del legame profondo tra ebrei e Gerusalemme su cui si basa il richiamo alla violenza. È arrivato il momento che i palestinesi riconoscano il diritto degli ebrei a vivere e pregare nella città, come è ovvio per noi israeliani il diritto dei musulmani a vivere e pregare nella città sacra. Infine - speranza mai sopita anche tra la disillusa popolazione Israeliana scossa dal sangue dei propri cari - è ora che i palestinesi tornino al tavolo dei negoziati con Israele senza precondizioni.

cartoon palestinese 
 Fonte: HuffingtonPost


Giovedì 20 novembre 2014

Dichiarazione ufficiale di Benjamin Netanyahu, poco fa: "Non ci deve essere alcuna discriminazione contro gli arabi israeliani. Non dobbiamo fare generalizzazioni contro una intera comunità a causa di una piccola e violenta minoranza. La stragrande maggioranza dei cittadini arabi di Israele sono rispettosi della legge e per quanto riguarda chi infrange la legge, intraprenderemo un'azione determinata, vigorosa, mirata contro di lui.
Nel quadro del progetto di legge di nazionalità che sottoporrò al Consiglio dei Ministri domenica, è inclusa la piena uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini senza distinzione di religione, razza o sesso, insieme all'identità di Israele come stato nazionale del popolo ebraico; non vi è alcuna contraddizione tra le due cose e non permetterò mai che vengano minati questi due principi fondamentali." (Lola Coen)

Prime Minister Benjamin Netanyahu issued the following statement today:
"There can be no discrimination against Israeli Arabs. We must not generalize about an entire public due to a small and violent minority. The vast majority of Israel's Arab citizens are law-abiding and whoever breaks the law – we will take determined and vigorous action against him. In the framework of the draft nationality law that I will submit to the Cabinet on Sunday, we will enshrine the full equality before the law of every citizen regardless of religion, race or sex alongside ensuring Israel's identity as the national state of the Jewish People; there is no contradiction between the two and I will not allow these two basic principles to be undermined."

venerdì 14 novembre 2014

Grecia: bambini disabili in gabbia

Nel centro disabili di Lechaina, in Grecia, circa 60 ragazzi vivono all'interno di celle abbandonati a loro stessi.


Bambini disabili in gabbia


I disabili, in Grecia, sono spesso discriminati e devono lottare per ottenere il supporto di cui hanno bisogno.
Alcuni bambini disabili, che vivono in una struttura statale, sono chiusi in gabbie. Il personale sostiene di voler migliorare le loro condizioni di vita, ma sono a corto di fondi.

Jenny è una bambina di nove anni. Si dondola avanti e indietro, mentre guarda oltre le sbarre di una gabbia di legno. Quando la porta si apre, salta giù sul pavimento di pietra e stringe tra le braccia l’infermiera. Pochi minuti dopo, lascia che la rinchiudano di nuovo senza battere ciglio. È abituata a quella gabbia. È la sua gabbia. Ci vive da quando aveva 2 anni.
Jenny, a cui è stato diagnosticata una forma di autismo, vive in una struttura statale per bambini disabili a Lechaina, una piccola città nel sud della Grecia, insieme ad altre 60 persone, molte delle quali vivono in celle o gabbie.

Fotis ha intorno ai vent'anni ed è affetto dalla sindrome di Down. Dorme in una piccola cella, divisa da quella degli altri pazienti da sbarre alte fino al soffitto e un cancello chiuso a chiave. Nella sua stanza c’è soltanto un letto singolo. Nel centro, non si vedono sono affetti personali da nessuna parte.
“Andiamo a fare un giro?”, è la cantilena piena di speranza del giovane Fotis dal fisico asciutto ogni volta che vede un volto nuovo. Ma con appena sei membri del personale addetti alle cure di tutti i pazienti, è raro che si abbia l’opportunità di lasciare il centro.

Nella piccola stanza del personale, una serie di schermi tv collegati a telecamere a circuito chiuso illuminano la stanza del personale e inquadrano costantemente le gabbie di legno al piano superiore dove sono tenuti i bambini disabili.
La condizione disagiata in cui si trova il centro ha attirato l’attenzione delle autorità per la prima volta cinque anni fa, quando un gruppo di laureati europei ha prestato servizio nel centro come volontari per diversi mesi.

Catarina Neves, una ragazza portoghese laureata in psicologia, era tra questi. “Al mio primo giorno lì dentro, sono rimasta totalmente scioccata. Non avrei mai immaginato che ci potesse essere una condizione simile in un Paese europeo moderno, ma ero anche più sorpresa dal fatto che il personale si comportava come se tutto questo fosse normale”, ha raccontato.

I volontari hanno scritto le loro esperienze in un documento che hanno indirizzato a politici, responsabili dell’Unione Europea e a tutte le organizzazioni per i diritti umani e diritti per i disabili che sono riusciti a trovare. A volte hanno ricevuto risposte di ringraziamento, che però non promettevano interventi concreti, ma per la maggior parte quelle lettere sono state ignorate.
Poi, nel 2010, la testimonianza dei volontari ha attirato l’attenzione del difensore civico greco per i diritti infantili. Il quale ha visitato il centro e ha pubblicato un rapporto di denuncia, in cui sottolineava “le condizioni disumane, la mancanza di cure e supporto, l’uso di sedativi, la presenza di bambini legati ai letti, l’uso di gabbie di legno usate come giacigli per i giovani con disabilità cognitive, una sorveglianza continua, e anche che tali pratiche costituivano una violazione dei diritti umani”.
Ha anche riferito il fatto che, nel centro, c’erano state numerose morti dovute a carenze nella supervisione. Un 15enne, nel 2006, era morto soffocato da un oggetto che aveva ingerito accidentalmente. Dieci mesi più tardi, quando fu un 16enne a morire, l’autopsia rivelò che il suo stomaco era pieno di pezzi di stoffa, fili e bendaggi.

Fu dopo questi incidenti che i responsabili del centro capirono che con un simile livello di assistenza era impossibile proteggere i bambini dai pericoli cui erano esposti. La soluzione che trovarono fu quella di costruire celle su misura per i loro pazienti.
Tuttavia, il report del difensore civico concluse che le celle e l’uso di un qualunque tipo di coercizione protratta nel tempo “era chiaramente illegale e in contraddizione con il dovere di rispettare e proteggere i pazienti”, e invitò il governo greco ad agire subito per risolvere la situazione.
Ma oggi, dopo quasi cinque anni, gli unici cambiamenti apportati sono stati superficiali. Alcune sbarre di legno sono state colorate e i fondi reperiti sono stati usati per trasformare il soggiorno in una stanza dei giochi sicura e con pareti morbide. Ma non c'è ancora nessuno a interagire con i pazienti, i quali restano seduti da soli sulle stuoie, dondolandosi e fissando il muro, mentre un’assistente li tiene d'occhio dall’entrata.
C’è una sola infermiera e un assistente per piano, che è responsabile per più di 20 bambini. Non esistono dottori fissi nella struttura. Quando i pazienti hanno bisogno di andare in ospedale, vengono accompagnati da una delle infermiere, il che significa che più di venti ragazzi restano nelle mani della sola persona rimasta.
“Durante un turno di notte ero spesso lasciata sola con tre assistenti, che non erano nemmeno infermieri, a occuparmi di più di 60 pazienti. Se c’era qualche problema medico con i bambini, non c’era nessuno a cui chiedere aiuto a parte Dio”, ha raccontato un’infermiera del centro che di recente è andata in pensione e ha chiesto di restare anonima.
L'infermiera ha detto che le gabbie erano necessarie: “Abbiamo combattuto per far costruire quei letti circondati da sbarre, così da concedere maggior libertà ai bambini. Prima di allora, i pazienti rimanevano sempre con braccia e gambe legate al letto. In ogni caso, i bambini ora si sono abituati. A loro piacciono questo tipo di sistemazione”.

Anche il medico locale George Gotis, che ha prestato servizio volontario al centro per più di vent’anni, vede le gabbie come qualcosa di positivo. “Penso che questo sia una delle strutture migliori per i bambini disabili, non solo in Grecia, ma in tutta Europa”, ha dichiarato.
“Molti di questi bambini con gravi disabilità hanno potuto vivere più a lungo rispetto alla speranza di vita media e questi costosi letti con sbarre, che sono stati costruiti per evitare che si facessero del male, hanno avuto un ruolo determinante”.

Il nuovo direttore del centro, Gina Tsoukala, che non è stata pagata per oltre un anno, ha detto che non ha il coraggio di mollare perché si sente in dovere di rimanere con i pazienti e di combattere per la loro causa. Le piacerebbe fare a meno delle strutture in legno, ma il numero insufficiente di impiegati non glielo permette.
"Alcuni pazienti hanno tendenze auto-lesioniste o sono di natura litigiosi e aggressivi, e quindi su consiglio di un dottore siamo costretti a usare queste gabbie di legno. Ma i bambini sono comunque liberi di comunicare e di interagire, in qualche modo".
All’ora di pranzo, i bambini mangiano dietro le sbarre. "Stiamo facendo il possibile ma non abbiamo le risorse per spingerci oltre e offrire qualcosa in più", dice il direttore del centro Tsoukala.
“Più di due terzi di questi bambini sono stati abbandonati dalle loro famiglie. E noi non abbiamo il tempo di dare loro il supporto emotivo che vorremmo, o offrire a ciascuno di loro le attenzioni individuali che meritano”, continua Tsoukala.

Discutere se le gabbie siano sicure per i bambini è sbagliato, sostiene Steven Allen, del The Mental Disability Advocacy Center (Mdac), un’organizzazione internazionale per i diritti umani per le persone con disabilità mentali. “Le gabbie sono state costruite per proteggere il personale, non i bambini; per gestire più facilmente i disabili, anziché trattarli come essere umani con dei diritti".
“Esser tenuti in gabbia è deleterio per la salute mentale dei pazienti e non ha valenza terapeutica e, anzi, può essere dannoso a livello fisico. Ci sono anche stati casi in cui le sbarre della cella sono crollate sui pazienti e li hanno uccisi”, ha detto.
L’organizzazione Mdac riporta che gli unici Paesi in cui si usano simili strutture sono Repubblica Ceca e Romania.
Ioannis Papadatos, presidente della Association for Families and People with Disabilities del distretto di Ilia, nella Grecia occidentale, ha il suo ufficio in un grande centro realizatto ad hoc per accogliere i disabili.
Ma, ancora oggi, il centro per disabili di cui è a capo - dotato di piscina, strutture per fisioterapia e logopedia, appartamenti che permettono una vita quasi del tutto indipendente e costruito grazie ai fondi dell’Unione Europea - è vuoto perché lo stato greco non si può permettere di pagare il personale.
Papadatos ha fatto parte del consiglio di amministrazione del centro infantile di Lechaina fino allo scorso anno. Ha detto di essersi battuto per migliorare le condizioni del centro: due ragazze autistiche, ad esempio, ora frequentano una scuola speciale per qualche ora al giorno. Ma molti pazienti "verranno liberati solo quando saranno morti".

Chloe Hadjimatheou è una giornalista della Bbc. La sua inchiesta è stata pubblicata qui. Le immagini sono a cura di Maro Kouri.

(Traduzione parziale di Caterina Michelotti)

fonte: ThePostInternazionale

giovedì 13 novembre 2014

Financial Times: “Grillo unica alternativa credibile a Renzi”

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Beppe Grillo, the leader of the five star Movement in Italy, is the only credibible alternative to Matteo Renzi, the incumbent prime minister“. Così scrive uno dei più autorevoli quotidiano del mondo, il Financial Times, in un articolo di tre giorni fa. 

C’è bisogno di tradurre? Il senso è chiaro a chiunque: “Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle in Italia, è la sola alternativa credibile al primo ministro Matteo Renzi“. Ovviamente, non c’è un solo quotidiano italiano che abbia ripreso la notizia. Pensate un po’ se tutte le home page dei siti italiani avessero aperto con: “Grillo è l’unica alternativa credibile a Renzi”. Ci pensate? Invece niente, solo silenzio.

I quotidiani italiani preferiscono aprire con “Grillo contestato a Bruxelles”, “Grillo non fa parlare il giornalista”, etc etc. Ci siamo ormai abituati, il gioco è sempre lo stesso e, probabilmente, non cambierà mai. Per fortuna che all’estero esistono anche giornalisti che offrono un quadro diverso della situazione italiana. In questo casoWolfgang Münchau, autore per il Financial Times dell’articolo citato.

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Il giornalista sottolinea poi come l’Euro sia il più grande pericolo e rischio che corriamo oggi in quanto l’eurozona non ha meccanismi per difendersi dalla depressione. Münchau loda Grillo per la decisione di voler uscire dall’Euro.

Fonte: tzetze.it

martedì 4 novembre 2014

Lettera aperta di un avvocato che non lavora

"Mi sento di condividere queste parole di una Collega con la speranza che prima o poi giungano a chi deve solo vergognarsi per aver contribuito a distruggere il nostro Paese...a chi ha iniziato e a chi continua ancora oggi."


Questa lettera non vuole essere nient'altro che quello che è: lo sfogo di chi non ce la fa più a tenersi tutto dentro nell'ennesima giornata in cui si cercano risposte al perché è andata così.
 
Sono un avvocato, mi sono laureata con il massimo dei voti 11 anni fa, ho fatto pratica in uno studio "importante", mi sono subito abilitata alla professione. Ho anche conseguito un Dottorato presso la nostra Università con cui mi onoro di continuare a collaborare, ovviamente senza percepire compensi ed oggi, a 37 anni, io non ho un euro in tasca.
Quest'anno non ho guadagnato nulla; ma non il nulla che si dice tanto per dire o perché si deve evadere; NULLA NULLA.

Faccio parte del popolo della Partita Iva, quello degli evasori per antonomasia; ma di quella parte di quel popolo a cui piacerebbe poter evadere il fisco per una ragione diversa dalla sopravvivenza.
Io non percepisco disoccupazione, non godo di Cassa Integrazione né di procedure di mobilitá, non ci sono ammortizzatori sociali per me che ho perso il lavoro ma non posso dirlo: perché nessuno ti crede, perché un avvocato non può aver perso il lavoro e non può essere disperato.
Non ho un cognome potente ma due genitori che mi hanno insegnato che la dignità viene prima di ogni cosa e per questo non mi sono venduta ad un sistema in cui se fai il "parafangaro", di sinistri falsi ancor meglio, sei sistemato alla grande!

Ho sempre pensato che il Diritto fosse una cosa diversa da un colpo di frusta, che il Diritto fosse studio, ricerca, scoperta, invenzione, educazione, moralità, rispetto delle regole. E, invece, ho capito che non serve nemmeno scrivere in corretto Italiano.

Sono un avvocato che non lavora e che ogni giorno va a caccia di un’idea che le permetta di cambiare pagina e vita cercando di ripetere a se stessa che non ha buttato nella spazzatura gli anni migliori della propria vita.
Non sarò ricevuta dal Papa nè da Renzi perché, fondamentalmente, non esisto. Nessuno crede a un avvocato senza lavoro e senza soldi! Nemmeno la mia cliente che seguo col gratuito e che va far le pulizie riesce a credere che lei guadagna più di me!
Certo in un paese normale non dovrebbe essere così; io e il mio cervello dovremmo essere impegnati in ben altro che nell'invidiare la dichiarazione dei redditi della Colf che il “parafangaro” di cui sopra ha appena assunto, in nero, nella sua bella villetta comprata con l'ultimo sinistro in cui, grazie a Dio, c'è scappato il morto!

Io la mia tragedia me la sono vissuta in silenzio e come me tanti e tanti colleghi con cui ti ritrovi a parlare silenziosamente e mestamente. Ma non è giusto. Tutti giustamente protestano, tutti vanno in TV, tutti si straziano pubblicamente e perché io, che a dicembre, come tanti altri, mi cancellerò da quell'Albo in cui con tanta fatica ho scritto anche il mio nome, dovrei farlo in silenzio? Perché? Per la falsa presunzione che ancora alberga nella gran parte della gente, compresi i parenti più stretti, che l'Avvocato è benestante di default?
Io mi licenzierò perché non posso pagare più la polizza per la responsabilità professionale, perché non potrò iscrivermi alla Cassa Forense, perché devo ancora pagare le tasse dello scorso anno, perché non posso pagare la stampante nuova e nemmeno il toner, perchè.......non ce la faccio più ad umiliare me stessa.

Provo un grande senso di vergogna, oltre che di profonda tristezza, perché quando un libero professionista perde, molla, chiude, non ha nessuno contro cui protestare; non ha datore di lavoro con cui prendersela, perché licenzia sè stesso. Il bello della libera professione......
Ma la vergogna non può essere la mia, non deve essere la mia; la vergogna se la prenda chi ha distrutto una generazione di professionisti, di lavoratori, di giovani; inutile fare penosi elenchi.

Io che il giorno dopo la laurea sognavo file di professionisti che suonavano il campanello di casa mia per offrirmi lavoro; io che non me ne sono voluta andare via, che ho voluto lasciare il mio cervello qui dove era nato, a respirare il respiro del Vulcano, io che ancora credo nel merito personale di ognuno, dico solo che mi dispiace e lo dico rivolgendomi a mio padre che se ne è andato da poco e che ancora si inorgogliva nel dire a tutti che sua figlia era "Avvocato".

Avv. Elisabetta Mottese