martedì 4 novembre 2014

Lettera aperta di un avvocato che non lavora

"Mi sento di condividere queste parole di una Collega con la speranza che prima o poi giungano a chi deve solo vergognarsi per aver contribuito a distruggere il nostro Paese...a chi ha iniziato e a chi continua ancora oggi."


Questa lettera non vuole essere nient'altro che quello che è: lo sfogo di chi non ce la fa più a tenersi tutto dentro nell'ennesima giornata in cui si cercano risposte al perché è andata così.
 
Sono un avvocato, mi sono laureata con il massimo dei voti 11 anni fa, ho fatto pratica in uno studio "importante", mi sono subito abilitata alla professione. Ho anche conseguito un Dottorato presso la nostra Università con cui mi onoro di continuare a collaborare, ovviamente senza percepire compensi ed oggi, a 37 anni, io non ho un euro in tasca.
Quest'anno non ho guadagnato nulla; ma non il nulla che si dice tanto per dire o perché si deve evadere; NULLA NULLA.

Faccio parte del popolo della Partita Iva, quello degli evasori per antonomasia; ma di quella parte di quel popolo a cui piacerebbe poter evadere il fisco per una ragione diversa dalla sopravvivenza.
Io non percepisco disoccupazione, non godo di Cassa Integrazione né di procedure di mobilitá, non ci sono ammortizzatori sociali per me che ho perso il lavoro ma non posso dirlo: perché nessuno ti crede, perché un avvocato non può aver perso il lavoro e non può essere disperato.
Non ho un cognome potente ma due genitori che mi hanno insegnato che la dignità viene prima di ogni cosa e per questo non mi sono venduta ad un sistema in cui se fai il "parafangaro", di sinistri falsi ancor meglio, sei sistemato alla grande!

Ho sempre pensato che il Diritto fosse una cosa diversa da un colpo di frusta, che il Diritto fosse studio, ricerca, scoperta, invenzione, educazione, moralità, rispetto delle regole. E, invece, ho capito che non serve nemmeno scrivere in corretto Italiano.

Sono un avvocato che non lavora e che ogni giorno va a caccia di un’idea che le permetta di cambiare pagina e vita cercando di ripetere a se stessa che non ha buttato nella spazzatura gli anni migliori della propria vita.
Non sarò ricevuta dal Papa nè da Renzi perché, fondamentalmente, non esisto. Nessuno crede a un avvocato senza lavoro e senza soldi! Nemmeno la mia cliente che seguo col gratuito e che va far le pulizie riesce a credere che lei guadagna più di me!
Certo in un paese normale non dovrebbe essere così; io e il mio cervello dovremmo essere impegnati in ben altro che nell'invidiare la dichiarazione dei redditi della Colf che il “parafangaro” di cui sopra ha appena assunto, in nero, nella sua bella villetta comprata con l'ultimo sinistro in cui, grazie a Dio, c'è scappato il morto!

Io la mia tragedia me la sono vissuta in silenzio e come me tanti e tanti colleghi con cui ti ritrovi a parlare silenziosamente e mestamente. Ma non è giusto. Tutti giustamente protestano, tutti vanno in TV, tutti si straziano pubblicamente e perché io, che a dicembre, come tanti altri, mi cancellerò da quell'Albo in cui con tanta fatica ho scritto anche il mio nome, dovrei farlo in silenzio? Perché? Per la falsa presunzione che ancora alberga nella gran parte della gente, compresi i parenti più stretti, che l'Avvocato è benestante di default?
Io mi licenzierò perché non posso pagare più la polizza per la responsabilità professionale, perché non potrò iscrivermi alla Cassa Forense, perché devo ancora pagare le tasse dello scorso anno, perché non posso pagare la stampante nuova e nemmeno il toner, perchè.......non ce la faccio più ad umiliare me stessa.

Provo un grande senso di vergogna, oltre che di profonda tristezza, perché quando un libero professionista perde, molla, chiude, non ha nessuno contro cui protestare; non ha datore di lavoro con cui prendersela, perché licenzia sè stesso. Il bello della libera professione......
Ma la vergogna non può essere la mia, non deve essere la mia; la vergogna se la prenda chi ha distrutto una generazione di professionisti, di lavoratori, di giovani; inutile fare penosi elenchi.

Io che il giorno dopo la laurea sognavo file di professionisti che suonavano il campanello di casa mia per offrirmi lavoro; io che non me ne sono voluta andare via, che ho voluto lasciare il mio cervello qui dove era nato, a respirare il respiro del Vulcano, io che ancora credo nel merito personale di ognuno, dico solo che mi dispiace e lo dico rivolgendomi a mio padre che se ne è andato da poco e che ancora si inorgogliva nel dire a tutti che sua figlia era "Avvocato".

Avv. Elisabetta Mottese

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