lunedì 30 aprile 2012

Quelle donne bruciate per emulazione in Argentina


di Concita de Gregorio, Repubblica –   SI IMITANO. Si esaltano, si sentono dannati e onnipotenti. Dispongono della vita e della morte, accendono il fuoco e appiccano il rogo: bruciano le donne. Ragazzine, adolescenti incinte, giovani madri. Fanno come ha fatto il loro eroe, il cantante maledetto del gruppo rock di successo. Anche loro, come lui. Ti do fuoco, ti guardo bruciare. Succede a Buenos Aires, e nessuno ne parla perché non fanno notizia storie così. Delitti domestici, roba ordinaria. 
Questa è una storia lontana, una storia argentina. Ma è una storia esemplare. Perché mentre di nuovo, in Italia, come un fiume carsico riemerge l'allarme per quello che si chiama femminicidio ed è il frutto del malamore, la trappola assurda e mortale a cui le donne si sottomettono scambiando la violenza e il senso del possesso per amore, laggiù lontano oltre l´oceano una sequenza di roghi ci dice qualcos'altro. Che si può uccidere per somigliare a un eroe della musica dannata, che se nessuno ferma la spirale e la chiama per nome, la nomina per quello che è, diventa quasi un gioco. Un videogame, una sfida. 

Sono almeno quindici, forse di più, le donne bruciate a Buenos Aires. 
«Sì è vero. Da noi le donne le bruciano», conferma Fernando Iglesias, deputato e scrittore. «È diventata una moda. Da quando il batterista dei Callejeros, quel gruppo rock famosissimo anche per la tragedia dell'incendio in discoteca, insomma da quando Eduardo Vazquez ha bruciato la sua donna, un paio d'anni fa, è scattata l´emulazione. Hanno cominciato subito dopo di lui, i ragazzini, a dar fuoco alle fidanzate. Non hanno più smesso. Le bruciano in cucina, di solito». 
Come in cucina, ma che dici? 
«In cucina, sì. E di mattina. È appena uscita una statistica: più spesso di mercoledì, più spesso di mattina dopo le 11. In casa, in città, qui a Buenos Aires. In prevalenza ragazze fra i 15 e i 25 anni. Però non ne parla nessuno, lì da voi nel Primo Mondo: seguo le rassegne ma non ho visto niente. Eppure è un contagio spaventoso. Il fuoco, poi: primordiale. Troppi casi analoghi, stesse modalità, torce umane, l´ultimo delitto un paio di mesi fa. Il processo è in corso adesso. Danno la colpa a lei, alla morta». 
La colpa di cosa? 
«Di essersi bruciata da sola. Ci puoi credere?».


No, non ci posso credere. Non ci posso credere e le voglio ascoltare con le mie orecchie, vedere coi miei occhi le testimonianze di chi, al processo, dice che Maria Aldana Torchielli, 17 anni – diciassette, un´adolescente pallida – il 15 febbraio di quest'anno, durante una lite, si è cosparsa da sola di alcol. Quello per disinfettare le ferite e per pulire i pavimenti, l'alcol rosa nei bottiglioni di plastica. Che se lo è rovesciato sui genitali, in testa, sui piedi e sul seno e che – da sola, da sola – ha annunciato al suo irascibile ragazzo, Juan Gabriel Franco, 23 anni: mi do fuoco. Che lo ha fatto perché era «instabile e gelosa», testimoniano in aula i conoscenti per la soddisfazione della famiglia di lui. Troppo gelosa. Lui ha cercato di salvarla, aggiungono, infatti ha le mani e le braccia ustionate. Ma lei voleva morire: è stata lei ad uccidersi. Anche i due poliziotti che sono intervenuti per primi nell´appartamento, due misere stanze, hanno detto sotto giuramento che prima di perdere conoscenza Aldana ha sussurrato loro: sono stata io. Sono gli unici due testimoni, i poliziotti. A parte Juan Gabriel, naturalmente, che però è anche accusato dell´omicidio per cui diciamo che è di parte. 

Aldana è arrivata in ospedale in coma, non ha mai ripreso conoscenza. Aveva ferite gravissime al volto, al collo, al torace, all´addome, i genitali erano carbonizzati, le mani e i piedi disciolti. La famiglia del ragazzo è presente in aula. Lei lo provocava, dicono, era gelosissima. Lo minacciava. 
Però lui è qui, lei è morta, risponde Myriam la madre di Aldana: era mia figlia, ripete come un´ossessione. Era mia figlia. Lui è qui e lei è morta. «La famiglia di quell'uomo mi ride in faccia, mi guarda negli occhi e ride. Ma io non mi arrendo, non mi lascio intimidire. Io so che l'ha ammazzata, lei aveva paura. Devo essere forte perché Aldana ha molte sorelle. Wanda Taddei è con me».

Ecco, Wanda Taddei. La giovane donna uccisa dal batterista dei Callejeros, Eduardo Vazquez. Un idolo, lui: amato dai giovani e circondato da un'aura di dannazione. Adorato perché dannato. Una storia che ricorda da vicino quella di Bertrand Cantat, il leader dei Noir Desir assassino di Marie Trintignant, figlia del grande attore. Questa però, la storia di Eduardo Vazquez, non è solo una storia di violenza: è una storia nera di fuoco. Il fuoco omicida e purificatore, dicono i siti deliranti a cui gli adolescenti si ispirano per bruciare le loro ragazzine. Conviene riassumerla nella sua tragica insensatezza.

I Callejeros sono il gruppo rock sulla cresta dell´onda che deve esibirsi il 30 dicembre 2004 nella grande discoteca Cromagnon, in calle Bartolomeo Mitre, Buenos Aires. Arrivano a migliaia. Poco prima del concerto qualcuno lancia un petardo. Prende fuoco un telone, poi un altro, poi tutto. Le porte sono chiuse dall´esterno. Nel rogo, in pieno centro città, muoiono 194 persone. Sono quasi tutti ragazzi fra 17 e 23 anni. 1432 sono i feriti gravi e gravissimi. Alla vigilia di Capodanno sparisce una generazione. 
La tragedia di Cromagnon dà via a un processo infinito, nessuno sembra responsabile. La strada, calle Mitre, viene chiusa e diventa un mausoleo a cielo aperto. 
I Callejeros – alcuni di loro hanno perso nell'incendio i genitori e gli amici – sono considerati i responsabili per così dire morali. Diventano il simbolo della distruzione e della morte nel fuoco. Ci sarà un referendum popolare, anni dopo, per decidere se possano tornare ad esibirsi. Non accadrà. Non suoneranno, da quel giorno, mai più. Nessuno li vuole. 
I componenti della band si disperdono, si perdono. Nascono siti e gruppi che ne adorano l'assenza e la maledizione. Sei anni dopo il batterista ritrova la sua fiamma di gioventù, Wanda Taddei, e la porta a vivere con sé. La ragazza aveva 15 anni quando si erano incontrati la prima volta, ma la famiglia di lei li aveva divisi: lui è un violento, ubriaco, drogato. Non fa per te, te lo vieto: le disse allora il padre. Questa volta però lei è una donna. Ha un matrimonio alle spalle e due figli maschi. Vuole Eduardo, il suo amato aguzzino: va a vivere con lui. Il 10 febbraio 2010 lui la brucia, durante una lite: la cosparge di alcol e le dà fuoco. I bambini, Juan Manuel e Facundo, sono rintanati in uno sgabuzzino. 
«Ci sentivamo sempre più sicuri nello sgabuzzino», dirà Facundo al processo. 
«Eduardo picchiava sempre la mamma». Siamo a febbraio, da allora è un rosario di delitti.

Il primo – identico – sei mesi dopo. Fatima Guadalupe Catan, 24 anni, incinta, bruciata viva in casa dal fidanzato. 
Poi Dora Coronel, 26 anni. 
A dicembre Alejandra Rodriguez. Madre di una bimba di 4 anni, bruciata in cucina con l'alcol. 
Subito dopo Norma Rivas, 22 anni, tre figli: con la nafta, questa volta. 
A gennaio del 2011 Ivana Correa, 23 anni. 
A marzo muore Mayra Ascona, 30, incinta. Bruciata in casa dal marito. 

Tutti casi isolati, nessun allarme, nessuno che metta in fila la sequenza. Fino a febbraio di quest´anno, quando la madre di Aldana, la diciassettenne morta dopo dieci giorni di coma, va in tv e dice nello strazio: sarò forte per le sue sorelle, le sorelle di Aldana mia figlia e di Wanda Taddei.

C´è una superstite, si chiama Corina Fernandez. Dice: 
«Cadi in una rete di paura e non ce la fai ad andartene. Quando dici me ne vado è allora che ti ammazzano». 
Il femminicidio col fuoco è oggi in Argentina al quarto posto nelle classifiche di morte, che dicono così: 
1) proiettili. 
2) pugnale e coltello. 
3) botte. 
4) fuoco. 
Una ragazza su dieci muore bruciata. 
Seguono: strangolata, sgozzata, asfissiata, uccisa col martello, bastonata, affogata. 
Di solito per mano del convivente o dell´ex. Di solito in casa. 
Elena Highton de Nolasco, giudice della Corte Suprema, afferma avvilita che «non possiamo mettere un poliziotto accanto ad ogni donna che denuncia». 
Corina, che si è salvata per caso, aveva denunciato il compagno 80 volte. Ottanta. 
«Ora lo hanno condannato a sei anni, e io ho i giorni contati. Quando esce di sicuro mi ammazza». 
Mi brucia, dicono ormai le donne argentine. È diventato sinonimo. Quando esce mi brucia.

venerdì 27 aprile 2012

La percezione mediatica e sociale del femminicidio

Nel nostro Paese la violenza domestica (o in generale sulle donne è tabù). Se è così facile parlare di fenomeni tristi e altrettanto molto frequenti come le “morti bianche”, “le stragi in strada”, “le vittime del maltempo”, “le vittime della droga”il razzismo”, l’”omofobia”, parlare di “femminicidio” e più in generale della violenza di genere è ancora tabù nel nostro Paese: l’unico fenomeno che non ha ancora un nome secondo i media, il Governo e l’opinione pubblica italiana.

Spesso i media e perfino il Governo l’opinione pubblica attribuiscono questo fenomeno alla nazionalità del carnefice, allo stato di ebbrezza, alla gelosia, compiendo una gravissima giustificazione e attenuante sociale ad un fenomeno che nel nostro Paese mette in pericolo una grandissima fetta di popolazione femminile.
Qualsiasi fosse la violenza sulle donne, le giustificazioni sono le stesse: lui aveva bevuto, si era drograto, l’amava troppo, era immigrato, lei portava la minigonna, lei lo esasperava, era depresso e via dicendo…
Abbiamo cercato di chiedere ai media di non usare linguaggi sessisti e di abbandonare la tendenza a giustificare la violenza sulle donne, unico fenomeno che nel nostro Paese o si giustifica o si fa passare nel silenzio più assoluto.
Le giustificazioni mediatiche sono pericolosissime, ti fanno pensare che la violenza sulle donne fosse compiuta solo da certe culture, accettata, tollerata, o addirittura meritata dalla vittima spesso quando lui è italiano.
Questa tendenza, non solo scoraggia le vittime a denunciare, ma incoraggerebbe i violenti ad esserlo perché oltre al “buonismo” mediatico, il nostro sistema giudiziario non condanna quasi mai duramente un uomo violento (a proposito, un’altra notizia triste: l’assassino di Simonetta Cesaroni è stato assolto) e nemmeno il Governo fa qualcosa per porre fine a questo fenomeno per non rovinare l’immagine della famiglia.
Quest’omertà è sintomo di come ancora oggi la violenza sulle donne venga accettata dalla nostra società, indipendentemente da che forme si esprima, non cambia se si tratta di uno stupro (l’ultimo efferato avvenuto ieri da  perte di due italiani: padre e figlio tanto per dire che il disprezzo per le donne spesso si apprende nelle famiglie italiane), di percosse o di femminicidio, il problema è sempre lo stesso. E’ come se nel nostro Paese fosse ancora presente il delitto d’onore, come se, malgrado la legge sia stata abrogata, continuasse a “vivere” nella mente di molti italiani, dai tribunali, dalle aule del Parlamento e nelle case degli italiani!
E' proprio questo il problema, l’Onu e l’Ue hanno chiamato il Governo a fare qualcosa come deterrente (come inasprire le pene, pubblicizzare e finanziare i centri antiviolenzache invece chiudonoma anche per sensibilizzare la società affinchè venga arginato il fenomeno, perchè l’italia è uno dei pochi Paesi europei con un fenomeno di tale proporzione (il femminicidio e la violenza sulle donne, avvengono dappertutto ma in nessun paese europeo, specifico, sono mai stati registrati numeri così preoccupanti e così poca attenzione di fronte al fenomeno), ricordando che negli altri Paesi la denoninazione femminicidio è entrata nell’uso comune e ci sono Paesi che lo hanno inserito nel codice penale, tra i quali l’Argentina.  Assieme a questo, l’Onu ha chiesto all’Italia di contrastare gli stereotipi sessisti sui media, additati come la causa del Gap che relega l’Italia come l’unico Paese occidentale che figura in fondo alla lista dei Paesi per divario di genere sul Global Gender Gap, che contribuisce al mantenimento di una cultura stereotipata e una posizione subalterna delle donne, fonte di discriminazione e incoraggiamento alla violenza.
Dopo la vicenda di Vanessa, si stanno moltiplicando gli appelli in rete. Ora attendiamo la risposta del nostro Paese.




fonte: http://comunicazionedigenere.wordpress.com/2012/04/27/la-percezione-mediatica-e-sociale-del-femminicidio/ pubblicato da Mary

mercoledì 25 aprile 2012

25 Aprile: Donne, resistenza e liberazione


“Nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso  della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa.
Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento, costruiva e teneva insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”
(Ada Gobetti)

“Nei mesi successivi alla Liberazione hanno subito riconosciuto i gradi del partigiano al vicario e all’avvocato C.: a me niente. Ho chiesto spiegazioni a un compagno dell’ANPI. “Ma tu sei una donna!” – mi ha risposto. Invece ero l’unica a cui quel titolo poteva davvero servire. Io vivevo solo del mio lavoro e avevo bisogno di quel riconoscimento. I gradi (tenente partigiano) li ho voluti per giustizia, ma non ho preso il pacco sussidio che davano e comunque i soldi li ho lasciati tutti all’ANPI.” (dalla testimonianza dell’ostetrica Maria Rovano, nome di battaglia “Camilla”, partigiana a Barge, CN).

25 Aprile 1945:
Ricoda, o cittadino, questa data
e spiegala ai tuoi figli
e ai figli dei tuoi figli
racconta loro
come un popolo in rivolta
si liberasse un giorno
dall'oppressore
e narra loro
le mille e mille gesta di quei prodi
che sui monti, nei borghi e in ogni luogo
sbarrarono il passo all'invasore
né ti scordar dei morti
né ti scordar di raccontare
cos'è stato il fascismo
e il nazismo
e la guerra ricorda
le rovine, le stragi, la fame e la miseria
lo scroscio delle bombe e il pianto delle madri
ricordati di Buchenwald
delle camere a gas, dei forni crematori
e tutto questo
spiega ai tuoi figli
e ai figli dei tuoi figli
non perché l'odio e la vendetta duri
ma perché sappian quale immenso bene
sia la libertà
e imparino ad amarla
e la conservino intatta
e la difendano sempre.
25 Aprile 1955


domenica 22 aprile 2012

Media e violenza sulle donne: come rigirare la frittata!

Ospito volentieri questo interessante articolo (fonte: http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/04/23/media-e-violenza-sulle-donne-come-rigirare-la-frittata/)


Ultimi giorni di Bollettino di Guerra. Una sentenza stabilisce che se la moglie è vittima di depressione e paranoia lui, il marito che la uccide, ne ricava una attenuante. Ed è buffo perché io pensavo che infierire su una persona con qualunque genere di disabilità potesse essere considerata una aggravante.
Poi c’è il settantenne che dalle fonti di informazione online viene descritto come un ex militare che avrebbe sparato per “gelosia” alla moglie di 67 anni. Gelosia. Donna di 67 anni. Chi riporta le notizie in questo modo dovrebbe riconsegnare la tessera di giornalista iscritt@ all’ordine.
Altro episodio, siamo al #53esimo dall’inizio del 2012, c’è lui, il compagno, che strangola lei, poi le dà fuoco per simulare un incidente, prende il bimbo di 11 mesi e finge di averlo salvato dalle fiamme. Il dettaglio: le fonti di informazione insistono nello specificare la differenza di età tra i due conviventi, lei 41 anni e lui 26, quasi come fosse naturale prendere compagna quasi quarantenne, farle fare un figlio, poi liberarsene, prendersi la prole, e chi s’è visto s’è visto.
E c’è la giornata del blogging day contro la violenza sulle donne, proposta dall’Aied, e da Jumping Shark arriva la segnalazione di una curiosa faccenda che riguarda, chissà come mai, la pagina D di Repubblica.
Sostanzialmente c’è una intervista a qualcun@ del Centro Antiviolenza Artemisia di Firenze che parla di violenza sulle donne, domestica, di altro genere, della visita della delegata Onu che ha parlato in Italia di Femminicidio, tutte cose attinenti al tema.

A parte il titolo specista, l’unica cosa non attinente al tema è la foto scelta a corredo dell’articolo che rappresenta dei modelli, in posa, lei a fare l’aggressiva antipatica, lui a guardare con benevolenza e comprensione il bambino il quale si tappa le orecchie per non sentire i bisticci di mamma e papà. Tornando al titolo, dunque, chi sarebbe la bestia? Chi il padrone?
Non che una cosa del genere non possa accadere, figuriamoci, ma è curioso che un articolo che parli di violenza sulle donne presenti l’immagine di una donna che aggredisce.
Allora le cose sono due (scegliete quale):
- o Repubblica è diventata improvvisamente “evoluta” al punto da voler ribaltare l’immagine della donna perennemente vittima, presentata troppo spesso con gli occhi pesti, coerente ad una visione delle donne sempre passive, bisognose di tutele,  mai in grado di difendersi al punto da aver bisogno di essere recluse, controllate, monitorate, assoggettate ad una legislazione fortemente securitaria, repressiva, che le usa a pretesto per imporre un modello sociale autoritario, e dunque per ribaltare questo tipo di messaggio Repubblica – forse – ha voluto rappresentare una donna forte, che sa difendersi da sola, accanto ad un uomo “violento” che finalmente non viene descritto come un mostro ma solo come uno che “normalmente” si inserisce nelle complesse dinamiche familiari in modo distruttivo, una donna che è talmente in grado di difendersi da sola da essere perfino stigmatizzata perché se lui tira schiaffi il bimbo può vedere ma se lei dice al compagno “stronzo” la versione social-d-repubblica decide che il bimbo si risente…
- o  D di Repubblica fruisce della collaborazione di impaginatori fondamentalmente paraculi che volevano neutralizzare l’effetto di un articolo attraverso una immagine giustificatoria che dà la sensazione esattamente opposta.
Mettere una immagine con delle informazioni chiare dirette a chi ha bisogno di sapere a chi rivolgersi in situazioni di violenza (1522, numeri centri antiviolenza) proprio non viene in mente a nessuno, eh?
La prossima volta che scriverò un articolo che racconterà di una violenza di una donna su un uomo metterò una foto di un uomo che urla e strepita contro una donna, così magari se ne ricaverà l’illusione che lei lo ha percosso/ucciso perché lui era un gran rompiovaie. Può andar bene, no?

Storia della Monsanto



Tratto dal libro: «Transgenico NO», Malatempora

La chiamano la Microsoft del transgenico, del biotec, ma lei non dovrebbe essere divisa in due o tre, dovrebbe essere spazzata via, messa in condizione di non fare danni spaventosi, come ha fatto, sta facendo e farà, se non sarà fermata.

La storia. Nasce nel 1901 a East St. Louis, nell’Illinois, come produttrice di saccarina. Nella grande crisi del ’29 mentre milioni di americani senza lavoro non riescono a mangiare, lei si mangia una ditta che ha giusto messo a punto un nuovo composto, i policlorobifenili, detti PBC. Sono inerti, resistenti al calore, utili all’industria elettrica allora in grande espansione e come liquidi di refrigeranti nei trasformatori. 

La Monsanto fa i soldi, ma già negli anni Trenta viene fuori che il PCB è un composto chimico tossico, ma l’elettrico è troppo importante, e la Monsanto va avanti pressoché indisturbata. 

Negli anni Quaranta si occupa di diossine e comincia a fabbricare l’erbicida noto come 245T, il nome gli deriva dal numero di atomi di cloro del famigerato composto. Così efficace che già negli anni Sessanta le grandi praterie americane, così infestate, diventano «silenti» ed uscirà un libro famosissimo a denunciare «the silent spring», la primavera silenziosa, senza uccelli, che darà il via alle prime campagne ecologiche americane. 


L’erbicida è così potente che l’esercito americano lo usa come defoliante nella sua guerra in Vietnam, dove concepisce l’idea demenziale che distruggendo tutte le foglie degli alberi del Nord e Centro Vietnam riuscirà a scovare i Vietcong. Che invece arriveranno fino a Saigon, e faranno scappare l’ambasciatore americano dal tetto dell’ambasciata, con la bandiera a stelle e strisce arrotolata, sotto il braccio, mentre si alza su un elicottero che lo riporterà via, per sempre. Ma questa è un’altra storia. 

La Monsanto, durante tutta quella sciagurata guerra, la prima che gli Americani perdono nella loro storia, ha venduto all’esercito il tristemente famoso «agente orange», un misto di 245T della Monsanto e del 24D della sua rivale Dow Chemical, sua alleata per la patriottica distruzione delle foreste del Vietnam. Scienziati ed opinione pubblica, oltre alle diserzioni in massa dei giovani americani fanno sospendere, nel 1971, lo spargimento dell’agente orange, di cui si conoscono gli effetti delle diossine sull’ambiente. 
Ed è cancerogeno, ha provocato danni immunitari e alla riproduzione che non hanno finito di fare male ai vietnamiti. 
Come si vede, la Monsanto viene da lontano davvero. Ma questo è ancora poco. 

Negli anni Ottanta scopre il glifosato, sostanza base per molti erbicidi, e soprattutto del tristemente famoso Roundup. Il Roundup è un pesticida potente, e conveniente, che dà alla Monsanto profitti del 20% annui, proiettandola ai vertici. Però ha un difetto: fa male agli umani. I disordini provocati dal glifosato sono noti e documentati, ma le lobbies pro-pesticidi sono ormai potentissime, inarrestabili. 


Il solo piccolo neo di questi tempi, mentre leggete, gli scade la patente del Roundup, insomma, la fine della pacchia. Ma ormai la Monsanto, da grande multinazionale qual è, sa guardare lontano. Nel 1997 scorpora chimica e fibre sintetiche e le mette in una società di nome Solutia e spende miliardi (di dollari) che le vengono dai profitti del Roundup nel campo biotech, che, insieme a quello del software, sta diventando il darling di Wall Street. Capisce alla svelta che quello sono le due grandi strade del futuro: informatica e biotecnologie. La Monsanto viene fuori con la grande pensata. 

La grande pensata è questa: fabbrichiamo una specie di semente resistente al glifosato, così possiamo vendere le sementi super-resistenti, che si chiameranno Roundup ready, insieme al Roundup stesso. Così possiamo continuare a prendere due piccioni con una fava: vendere le sementi, e ancor più pesticida Roundup, un pacchetto doppio che abbiamo solo noi. 
Splendido, no? 

Così, dal 1997 la Monsanto comincia a vendere soia, mais e colza transgenici, cioè con un gene che, dice lei, li fa resistenti al Roundup. Ci prova anche con il cotone, ma gli va male. Però soia, mais e colza vanno bene, e arriveranno, per vie traverse e spesso complicate, sulle tavole di tutto il mondo, ormai abituate a prodotti con dentro di tutto. 
Basta che siano colorati, pubblicizzati e venduti nei supermercati come prodotti nuovi, con i nomi degli ingredienti così piccoli che non li legge neanche un notaio di Catania. 

E non è finita. Nel 1998 una delle nuove aziende Biotech, la Delta e Pine Land, si è inventata e brevettata una tecnica di nome «sistema di protezione della tecnologia» che è una modifica genetica alla pianta, a molte piante, che le fa sterili. Come ogni persona di buon senso può capire, è peggio della bomba atomica. 
Possono sterilizzare una pianta, e quindi, se ti costringono a usare i loro semi, te li possono rivendere anno dopo anno: sei nelle loro mani peggio di quanto il contadino servo della gleba del medioevo era nelle mani del suo signore feudale. 

Il brevetto prende il nome di Terminator. La Monsanto, dopo due mesi dal brevetto, si compra la Delta & Pine Land, con l’evidente scopo di vendere le sementi transgeniche, che vengono chiamate «suicide» ai mercati dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. (…) 
… Ma la verità, si sa, alla fine viene fuori, e le bugie hanno le gambe corte. 

Un giornale tra i pochissimi, The Ecologist, inglese, fa un numero speciale sul transgenico, e fa i nomi della gente delle lobbies che hanno fatto passare le leggi sui brevetti. Sono spesso quelli che poco prima erano nel biotech: era così e lo è ancora nel farmaceutico come negli armamenti, la chiamano la «revolving door». Entrano nelle multinazionali e escono dalle lobbies o dalle burocrazie ministeriali che decidono, e viceversa, da sempre. 

La Monsanto e quelli del biotech premono sulla distribuzione del giornale, e lo fanno saltare. Ma alla fine esce, in inglese, in francese e in spagnolo e com’è come non è, in pochi mesi l’Europa si allerta ai transgenici, e al Terminator, suo aspetto  più orrificante, e non vuole ne soia ne altro di quel genere. (…) 

La Monsanto si fonde con Pharmacia Upjohn, che fa un marchio separato per il transgenico agricolo, che vogliono spacciare (spacciare è il termine giusto), anche in Italia, nel nome della fame del mondo, e dei prodotti che contengono la vitamina qui, e l’antibiotico là. 

Con la connivenza, ovviamente, dei giornali e TV, insomma del mediatico tutto, che bisogna vi abituate a considerare per quello che è: la longa manus dei peggiori profittatori. Se poi ci siete chiesti cosa c’era di così terribile nel numero di The Economist, la risposta è: tutto. 

Dalla storia che ormai ha fatto il giro del mondo, denunciata in prima battuta da «Pure food» gruppo di ONG che hanno tirato fuori la sempreverde combine della revolving door, della porta girevole che funziona da sempre per le industrie belliche, i ricercatori e gli uomini chiave passano dall’industria alle organizzazioni statali che queste controllano. 
Cioè controllori e controllati sono sempre le stesse persone, che da quella porta girevole passano, ogni due o tre anni. Nel nostro caso, è una ricercatrice della Monsanto, chiamata dalla FDA a controllare le sue stesse ricerche. Lo stesso per una certa Ann Foster, passata da direttrice dello Scottish Consumer Council alla Monsanto, ed ancora membro di diverse commissioni di consulenza britanniche, tra cui quella degli aspetti medici degli alimenti. Evviva! 
Le guardie fanno i ladri, e poi ancora le guardie! Ma non crediate che la Monsanto si fermi davanti a queste quisquilie. 

Nel gennaio 1997 la procura di New York ha costretto la Monsanto a ritirare annunci pubblicitari che sostenevano che il suo diserbante, l’ormai famigerato Roundup, è biodegradabile e non nuoce all’ambiente, perché menzogneri. 

Secondo la facoltà di Igiene della Università di California, il glifosato occupa il terzo posto nelle cause di malattie legate ai pesticidi contratte dai lavoratori. Ma la Monsanto, come le grandi multinazionali, può tranquillamente perdere una battaglia, dieci battaglie, perché alla fine vince, grazie ai suoi avvocati, e alle lobbies, le guerre.  Anzi è così forte che riesce ad imporre quel che vuole agli organismi mondiali come il WTO. 

Progresso che passerebbe per la vittoria totale dei commerci senza barriere. Ma i ricchi non comprano il cibo dei poveri, per cominciare, così, noi europei tutti, dobbiamo accettare le importazioni di carne e latte che provengono dagli USA, da bestiame trattato con Prosilac, l’ormone prodotto dalla Monsanto, che fa crescere gli animali, e i profitti, con i risultati che sappiamo. 
E sulle carni ormonate, della Monsanto, la guerra tra USA, che li ormoni ce li mettono, e l’Europa, che non ci sta, è diventata una guerra commerciale a tutti gli effetti. 

Dal 1997 la Monsanto si è scissa in due. La cosiddetta MS si dedica esclusivamente alle biotecnologie e alla produzione di cibo, per gli animali e per gli uomini, entrambi geneticamente modificati, oltre alla fabbricazione di diserbanti e fertilizzanti.

venerdì 20 aprile 2012

Argentina: le attiviste che hanno sfidato Monsanto



Sofia Gatica è una donna argentina che ha intrapreso la sua battaglia per scoprire la causa della morte della sua piccola
di Alessandra Profilio - 
Sofia Gatica è una donna argentina che ha intrapreso la sua battaglia per scoprire la causa della morte della sua piccola.
Ha sfidato il colosso americano dell’industria agro-alimentare Monsanto e ha vinto il Goldman Environmental Prize 2012. 

Tredici anni fa, Sofía Gatica ha dato alla luce una figlia, morta poi a soli tre giorni dalla nascita. Determinata ad indagare sulle cause del decesso della sua bambina, la donna ha iniziato a parlare con i suoi vicini di Ituzaingó, un quartiere circondato da campi di soia, e si è così resa conto di inspiegabili problemi di salute che affliggevano la sua comunità.
Gatica, con un gruppo composto da 16 madri, ha così scoperto le gravi conseguenze che l’irrorazione di pesticidi stava avendo sulle famiglie della zona. I residenti, infatti, riportavano tassi di cancro 41 volte superiori alla media nazionale, così come elevati sono risultati i tassi di malattie neurologiche e respiratorie, malformazioni dei neonati e mortalità infantile.
Sofia e le sedici donne, riunitesi nell’associazione Mothers of Ituzaingo, focalizzarono quindi la loro indagine sull’erbicida Roundup, contentente glifosato. Sebbene la Monsanto sostenga che tale sostanza non comporti alcun rischio per gli esseri umani, nel 2008 uno studio scientifico ha rilevato che anche a basse concentrazioni, il glifosato è in grado di provocare la morte delle cellule embrionali e placentari.
Per la coltivazione della soia argentina è stato impiegato, oltre al Roundup, il potente pesticida endosulfano, ora bandito in 80 Paesi poiché altamente tossico e considerato una minaccia per la salute dell’uomo e per l’ambiente.
Le madri di Ituzaingo hanno dunque lanciato la campagna Stop Spraying per chiedere la messa al bando dei pesticidi. Le donne hanno organizzato incontri e conferenze per avvertire il pubblico sui pericoli dei pesticidi. Gatica ha contattato anche istituti di ricerca per chiedere di condurre studi scientifici per confermare ciò che lei aveva riscontrato a Ituzaingó.
Con pochissime risorse Gatica e altre madri si sono impegnate per accertare le responsabilità di Monsanto, DuPont e altre aziende agrochimiche mondiali che operano in Argentina. Le donne hanno anche subìto insulti e minacce provenienti da individui, ufficiali di polizia e titolari di aziende locali in Ituzaingó. Nel 2007, un individuo è entrato nella casa Gatica chiedendo, con una pistola puntata contro la donna, di rinunciare alla campagna.
Nonostante tutto questo, l’impegno di Mothers of Ituzaingo ha avuto effetti clamorosi. Nel 2008, il presidente dell’Argentina ha ordinato al ministro della Salute di valutare l’impatto dell’uso di pesticidi in Ituzaingó. Uno studio condotto dal Dipartimento di Medicina all’Università di Buenos Aires ha confermato i risultati della ricerca porta a porta delle madri che collegava i problemi di salute della popolazione all’esposizione ai pesticidi.
Gatica in seguito è riuscita ad ottenere un’ordinanza comunale che vietava l’irrorazione aerea di pesticidi a Ituzaingó a distanze inferiori a 2.500 metri dalle abitazioni. Nel 2010 la Corte Suprema, oltre ad aver vietato l’irrorazione dei pesticidi in prossimità di aree popolate, ha anche stabilito che spettava al governo e ai produttori di soia di dimostrare la sicurezza delle sostanze chimiche impiegate.
La campagna delle madri argentine prosegue tuttora e mira a bandire del tutto l’uso del glifosato in Argentina.
Quello che è successo a noi – ha spiegato Sofia Gatica – avviene in altri posti. Non è solo una lotta per il nostro quartiere, ma anche per tutti gli altri luoghi, perché in altri luoghi ci sono altre persone che si trovano in condizioni anche peggiori delle nostre. Hanno bisogno del nostro aiuto e noi dobbiamo aiutarle a capire i loro diritti. Abbiamo il diritto alla salute e all’aria pulita, e il diritto che il governo rispetti il ruolo che è stato dato. Abbiamo votato per loro, e siamo noi che paghiamo i loro stipendi”.
Quando si vive in un quartiere bisogna difenderlo. Dovete difendere la vostra famiglia, combattere con il governo, lottare con i vicini, lottare contro le multinazionali. È difficile, ma dovete farlo per la salute e la vita dei vostri figli”.
Tratto da: Argentina, le attiviste che hanno sfidato Monsanto | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2012/04/20/argentina-le-attiviste-che-hanno-sfidato-monsanto/#ixzz1saY1noBr

mercoledì 18 aprile 2012

UFO nella Storia (2)


- Gli abitanti di Norimberga, il 14 aprile 1561, furono testimoni di un fenomeno inspiegabile: nel cielo della città comparvero numerosissimi oggetti cilindrici che rimasero immobili, in alto. Subito dopo, dall'interno degli oggetti cilindrici uscirono moltissimi altri oggetti, a forma di sfera e di disco, che si misero a compiere evoluzioni nel cielo.

- Nel cielo di Basilea, in Svizzera, il 7 agosto 1566, apparvero numerosi oggetti di forma sferica e di colore chiaro e scuro. Gli oggetti si affrontarono in una specie di combattimento aereo, davanti agli abitanti della città che, con lo sguardo rivolto al cielo, osservavano la scena.

- Un avvistamento Ufo è stato descritto negli "Annales Laurissenses" (libri storici su eventi religiosi) scritto agli inizi dell'8 secolo. In esso è citato un evento accaduto nell'anno 776, durante l'assedio del castello di Sigiburg. I Sassoni assalirono e circondarono i Francesi. Entrambi stavano combattendo quando all'improvviso un gruppo di dischi (scudi fiammeggianti) apparsero sorvolando la cima della chiesa. I Sassoni pensarono che i Francesi fossero protetti da questi oggetti, e fuggirono.

-  I testi Vedici indiani sono pieni di descrizioni di Vimana. Il Ramayana descrive i Vimana come astronavi a 2 piani, circolari o cilindriche, con fori alle sommità. Esso vola alla "velocità del vento" e produce un "suono melodioso".

- In un dipinto di Paolo Uccello (1396-1475) intitolato "La Tebaide" (1460-1465), la vista ravvicinata a destra mostra un Ufo rosso a forma di disco, proprio vicino a Gesù. E' situato nella Accademia di Firenze.
- Nel dipinto di Carlo Crivelli (1430-1495) chiamato "L'Annunciazione" (1486), custodito nella National Gallery, London. si vede un oggetto a forma di disco che emette un raggio luminoso di luce sulla corona in testa a Maria. 

Il disegno è intitolato "Il Miracolo della Neve" realizzato da Masolino Da Panicale (1383-1440) e custodito nella chiesa di Santa Maria Maggiore, Firenze, Italia,  mostra Gesù e Maria su quello che sembra essere una nuvola lenticolare. 

- Il dipinto intitolato "La Madonna con S. Giovannino" fu realizzato nel 15 secolo. Il Palazzo Vecchio che nomina l'artista come sconosciuto lo attribuì alla scuola di Lippi. Sulla spalla destra di Maria c'è un oggetto a forma di disco. Negli ingrandimenti si può notare un uomo e il suo cane che chiaramente stanno osservando l'oggetto.

Non è tutto qua, in quanto di queste testimonianze nel corso della storia se ne trovano a iosa ma vorrei concludere qui la "mia" carrellata con:

MADONNA CON BAMBINO" di Carlo Crivelli. Pinacoteca di Ancona.
La piccolissima Madonna con Bambino (cm 21x15) di Carlo Crivelli conservata alla Pinacoteca Civica di Ancona è stata di recente annoverata tra le opere d'arte a contenuto ufologico (R. Volterri, "Narrano Antiche Cronache", pagg. 5-6, 9-11). Il particolare in questo caso, è il paesaggio che si vede a destra della Madonna, dove sembra di osservare razzi che decollano con tanto di scie e oggetti scuri che assomigliano stranamente ad aerei.

martedì 17 aprile 2012

UFO nella Storia (1)

Nel corso della storia sono state molte le testimonianze di avvistamenti nei cieli del nostro pianeta:

- Nel papiro egizio, noto col nome di "Papiro Tulli", si narra una serie di avvistamenti di oggetti misteriosi nel cielo. Protagonisti della vicenda il Faraone Thuthmosis III (1504-1450, circa a. C.) e molti suoi sudditi.

-In una scena tratta dal "Libro dei Morti", nella riproduzione del "Papiro di Torino", si possono osservare chiaramente in cielo tre corpi volanti di forma circolare. La scena presenta una imbarcazione con offerte.
Nel "Libro dei Morti" la descrizione, che fa parte del Capitolo CX, conclude: "Io approdo al momento (...) sulla Terra, all'epoca stabilita, secondo tutti gli scritti della Terra, da quando la Terra è esistita e secondo quanto ordinato da (...) venerabile".

- Tito Livio, nella sua "Storia di Roma", riporta le testimonianze di oggetti a forma di scudi circolari che volavano nel cielo e che erano stati visti sopra molte città dell'Impero aggiunge anche che il secondo re di Roma, Numa Pompilio, fu testimone personale della caduta dal cielo di uno di questi "scudi volanti" e che lo avesse annoverato tra gli oggetti di culto delle pratiche religiose che stava promuovendo.
 
- Cicerone, nel suo "De Divinatione", nel Capitolo 43, parla di quando "...il sole splendette nella notte, con grandi rumori nel cielo e il cielo sembrava esplodere e stupefacenti sfere vi apparvero..."

- Plinio il Vecchio, nelle "Historiae Naturales", nei capitoli 25 e 36, racconta di "Clipeus Ardens" visti sfrecciare nel cielo dell'antica Roma.
 
- Giulio Ossequente, nel "De Prodigiis" narra di avvistamenti, effettuati sia di giorno che di notte, riguardanti "Scudi di fuoco", "torce", "più soli", più lune", "ruote luminose" ecc., apparsi su Roma e su altri luoghi.

Esiste la cronaca di identici avvistamenti anche nelle opere di Plutarco, Eschilo e Valerio Massimo.

- Nel suo trattato di scienze naturali, Seneca racconta, con numerose osservazioni, di inspiegabili "travi luminose" che comparivano all'improvviso nei cieli delle città antiche. Le "travi" rimanevano immobili per giorni, per poi sparire all'improvviso, così come erano arrivate.

- Senofonte, nel suo "Anabasi", fa una classifica degli oggetti volanti avvistati in base alla loro forma; li descrive nelle forme a conchiglia, piatti, a campana, triangolari.

- Corrado Lychostene, nel suo libro "Prodigiorum ac Ostentorum Chronicon", stampato a Basilea nell'anno 1557, ci descrive gli avvistamenti di oggetti strani che solcavano il cielo nel Medio Evo e nel Rinascimento.
Oltre a croci greche e cristiane, nel libro si descrive il passaggio nel cielo d'Arabia, nell'anno 1479, di un oggetto definito "trave" (che è identica ad un moderno missile!).

- Nel 1290, un enorme oggetto circolare di colore argenteo sorvolò lentamente l'Abbazia benedettina di Amplefort, in Inghilterra, sotto gli occhi terrorizzati dei monaci che interruppero le loro preghiere già iniziate nella cappella, per accorrere a vedere il prodigio.

- Benvenuto Cellini (1500-1571) nella sua autobiografia descrive lo strano fenomeno di cui fu testimone lui stesso assieme a un suo compagno di viaggio. I due stavano ritornando da Roma, a cavallo, verso Firenze, quando giunsero su una collina da cui si vedeva la città. Poterono così vedere una enorme "trave luminosa" stagliarsi nel cielo sopra Firenze.

domenica 15 aprile 2012

IMU (ICI 2012)


ABBATTUTO L'IMU PER LA PRIMA CASA

GRANDE IL SINDACO DI POLISTENA!

Il Consiglio Comunale di Polistena riunito giovedi scorso ha dato il via libera definitivo alle nuove aliquote IMU sugli immobili.
Solo la maggioranza ha votato a favore, assumendo una decisione storica e coraggiosa che consentirà alla quasi totalità dei cittadini di Polistena di non pagare l'IMU sulla prima casa.
L'opposizione rappresentata dai consiglieri Laruffa, Baglio, Giancotta, Sanò, Iannello, Roselli, Pisano, De Pasquale, ha invece votato contro. Nemmeno su un provvedimento così importante per il quale il Comune di Polistena è passato alla ribalta delle cronache nazionali come modello da imitare, costoro hanno avuto il buon senso di schierarsi a sostegno di una decisione unica ed esemplare.

giovedì 12 aprile 2012

Hermano Sol, Hermana Luna




















Sol, querido hermano sol
estático señor
bombilla amarilla de calor
Luna hermana la menor
lucero del amor
espia de las noches de pasión

Hermano Sol, Hermana Luna
que nada nunca me separe de los dos.
Hermano Sol, hermana Luna
que nada nunca me separe de mi Dios.

Sol, que cuece en tu interior
que trae tanta explosión
pareces tan confuso como yo
Luna blanca reflexión
helado corazón
sereno que me guardas de ladrón

Hermano Sol, Hermana Luna
que nada nunca me separe de los dos.
Hermano Sol, hermana Luna
que nada nunca me separe de mi Dios.

Hermano Sol, Hermana Luna
que nada nunca me separe de los dos.
Hermano Sol, hermana Luna
que nada nunca me separe de mi Dios.

Sol, hermano sol, hermano soooooool.

(Mecano)