A me "vittima" non lo dici
Venerdì 25 Gennaio 2013: Sono entrata spesso in polemica con pubblicitari e enti istituzionali
benintenzionati che cercavano di fare comunicazione contro la violenza
alle donne e riuscivano a ottenere esattamente il contrario dell'effetto
cercato.
Si è sempre trattato di manifesti, spot e slogan che, pur con l'intenzione di combatterla, di fatto confermavano l'estetica della donna come creatura fragile e simbolica, inerme vittima da salvare oppure incarnazione di valori universali che prescindevano dalla sua persona.
Le frasi sono sempre le stesse.
Chi stupra una donna non stupra lei, ma stupra la culla stessa della vita.
Chi offende una donna non offende una persona, ma offende il mondo.
Chi ferisce una donna non ferisce quella donna, ma in lei ferisce la propria madre, la propria sorella, la propria figlia.
Le donne vanno protette, amate, se necessario salvate, non perchè persone portatrici dello stesso diritto al rispetto degli uomini, ma perché espressione di un sistema simbolico che pesa loro tutto addosso e di cui di conseguenza sono considerate responsabili.
Custodie di questo valore, sacerdotesse di quello, scrigni di quell'altro, le donne non sono mai solo persone.
Che questo equivoco sia la base, e non la negazione, delle violenze e degli abusi è un concetto che ancora fatica molto a passare, persino nelle teste di chi la lotta contro la violenza la fa operativamente ogni giorno.
Si è sempre trattato di manifesti, spot e slogan che, pur con l'intenzione di combatterla, di fatto confermavano l'estetica della donna come creatura fragile e simbolica, inerme vittima da salvare oppure incarnazione di valori universali che prescindevano dalla sua persona.
Le frasi sono sempre le stesse.
Chi stupra una donna non stupra lei, ma stupra la culla stessa della vita.
Chi offende una donna non offende una persona, ma offende il mondo.
Chi ferisce una donna non ferisce quella donna, ma in lei ferisce la propria madre, la propria sorella, la propria figlia.
Le donne vanno protette, amate, se necessario salvate, non perchè persone portatrici dello stesso diritto al rispetto degli uomini, ma perché espressione di un sistema simbolico che pesa loro tutto addosso e di cui di conseguenza sono considerate responsabili.
Custodie di questo valore, sacerdotesse di quello, scrigni di quell'altro, le donne non sono mai solo persone.
Che questo equivoco sia la base, e non la negazione, delle violenze e degli abusi è un concetto che ancora fatica molto a passare, persino nelle teste di chi la lotta contro la violenza la fa operativamente ogni giorno.
Eppure c'è un esempio riuscitissimo di come si fa la comunicazione
della non violenza alle donne.
Guardate la campagna di sensibilizzazione all'evento One Billion Rising, il progetto internazionale contro la violenza, lo stupro e gli abusi sulle donne.
Circolano tre video di fattura eccellente che dovrebbero essere studiati nelle scuole di comunicazione per vedere come si fa una battaglia di concetto senza confermare l'idea che si vuole disinnescare.
Guardate la campagna di sensibilizzazione all'evento One Billion Rising, il progetto internazionale contro la violenza, lo stupro e gli abusi sulle donne.
Circolano tre video di fattura eccellente che dovrebbero essere studiati nelle scuole di comunicazione per vedere come si fa una battaglia di concetto senza confermare l'idea che si vuole disinnescare.
Il primo video è un corto di 3 minuti che
non immagino quanto possa essere costato, ma di straordinaria
efficacia. Ci sono donne di ogni parte del mondo sottoposte a violenze
fisiche, molestie, sfruttamento e abuso.
La raffigurazione della tragedia universale delle donne viene scossa da un ritmo crescente che parte dalla terra stessa e fa tremare i loro piedi, i piedi dei loro abusatori, le travi delle case, le fondamenta dei luoghi di lavoro e l'anima di chi guarda.
Il ritmo non è la cavalleria che arriva, non sono gli zoccoli dei salvatori sui destrieri bianchi. E' il coraggio delle donne che interrompe la sequenza di violenza. E' la loro determinazione, la loro forza e la loro presa di consapevolezza.
Il ritmo diventa ballo e il ballo diventa liberazione, perchè solo chi è senza catene può danzare e riprendersi corpo, respiro, dignità.
Il gesto del braccio alzato è fortissimo. Dice: sono io, sono qui, presente e soggetto della mia vita. Non mi farete più niente che io non voglia e il 14 febbraio mi vedrete in piazza per dirlo a tutti.
La raffigurazione della tragedia universale delle donne viene scossa da un ritmo crescente che parte dalla terra stessa e fa tremare i loro piedi, i piedi dei loro abusatori, le travi delle case, le fondamenta dei luoghi di lavoro e l'anima di chi guarda.
Il ritmo non è la cavalleria che arriva, non sono gli zoccoli dei salvatori sui destrieri bianchi. E' il coraggio delle donne che interrompe la sequenza di violenza. E' la loro determinazione, la loro forza e la loro presa di consapevolezza.
Il ritmo diventa ballo e il ballo diventa liberazione, perchè solo chi è senza catene può danzare e riprendersi corpo, respiro, dignità.
Il gesto del braccio alzato è fortissimo. Dice: sono io, sono qui, presente e soggetto della mia vita. Non mi farete più niente che io non voglia e il 14 febbraio mi vedrete in piazza per dirlo a tutti.
Il secondo video è la canzone ufficiale dell'evento, intitolata significativamente Break the chain,
dove lo stesso concetto di presa in carico del proprio destino è ancora
una volta raffigurato dal gesto del ballo, liberatorio e energetico.
La danza rompe le regole, dice il testo, ed è vero: rompe anche quelle della comunicazione che vorrebbe le donne vittime piangenti su sè stesse, esseri autocommiseranti e fragili incapaci di invertire la propria storia se non interviene una forza esterna. La canzone è la base musicale del grande flash mob che si sta preparando per il 14 febbraio.
La danza rompe le regole, dice il testo, ed è vero: rompe anche quelle della comunicazione che vorrebbe le donne vittime piangenti su sè stesse, esseri autocommiseranti e fragili incapaci di invertire la propria storia se non interviene una forza esterna. La canzone è la base musicale del grande flash mob che si sta preparando per il 14 febbraio.
Il terzo video è una canzone aggiuntiva
che fa parte del materiale di supporto al concetto centrale, cioè che
le donne sono libere, non liberate o liberabili. In questa canzone a
cantare è un uomo e nel video sono presenti anche uomini, a differenza
che negli altri due. Non sono uomini violenti, ma uomini che si
riconoscono nello spirito del One Billion Rising e che lo interpretano
testualmente per quello che è: rising, cioè il momento in cui
le donne sorgono, si rialzano, diventando protagoniste della loro
liberazione.
E' un invito a ballare anche per loro, i maschi, insieme alle donne contro ogni violenza.
E' un invito a ballare anche per loro, i maschi, insieme alle donne contro ogni violenza.
Guardateli, guardate il sito, e poi cercate la piazza più vicina a
voi dove andare a ballare, donne e uomini, il 14 febbraio 2013. In
Sardegna ci stiamo preparando.
Manca poco.
Manca poco.
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