La terza intifada, che noi chiamiamo più correttamente “Jihad Palestinese”,
non riesce a decollare nonostante l’impegno profuso da Hamas, dalla
Jihad Islamica e nonostante i tentativi di infiammare le folle da parte
di Abu Mazen con l’uso sistematico di bugie.
Al momento sembra più un qualcosa di mediatico a uso e consumo dei
media occidentali perché quelli arabi non se ne stanno interessando più
di tanto, tanto che la chiamano la “intifada dei giovani” quasi a
rimarcare che dietro non c’è nessuna vera organizzazione.
In realtà non è proprio così.
La terza intifada, o Jihad Palestinese, nelle menti di chi ci sta lavorando da mesi, cioè la Jihad Islamica legata all’Iran, doveva essere prima di tutto uno schiaffo alla Autorità Palestinese (ANP) e ad Hamas rei di trattare segretamente
con Israele, doveva essere cioè l’ariete di sfondamento di una faida
interna ai movimenti palestinesi in un momento in cui tutti sono contro
tutti, Hamas contro Fatah e la Jihad Islamica, la Jihad Islamica contro
Fatah e Hamas e infine Fatah contro tutti con rotture persino nella OLP.
Una bella intifada doveva rimettere insieme i cocci dei movimenti
palestinesi sempre più in difficoltà con “la base” e scatenare rivolte
di massa così violente da costringere Israele a reagire duramente, tanto
da portare di nuovo l’intero mondo musulmano a sostenere la lotta
palestinese, ormai francamente in secondo piano rispetto alla situazione
geopolitica della regione.
A rovinare i piani degli “organizzatori” ci
ha pensato però la sostanziale indifferenza (o poca partecipazione) del
mondo arabo che a parte qualche isolata manifestazione di solidarietà
(l’ultima ieri in Giordania alla quale hanno partecipato solo
palestinesi) e un po’ di articoli sulla solita Al Jazeera, non ha
risposto con entusiasmo alla intifada palestinese.
Poco credibili le
ragioni di Abu Mazen, poco credibile lui stesso, ma soprattutto il mondo
arabo è stufo dei palestinesi (in realtà mai amati e persino detestati)
in un momento in cui le gatte da pelare sono ben altre a partire dallo
Stato Islamico fino all’Iran che si sta pesantemente armando a livello
convenzionale e quasi certamente nucleare.
Non sto chiaramente dicendo che la terza
intifada palestinese non sia un pericolo per Israele o che la cosa
finisce qui, sto solo dicendo che non ha avuto nei paesi arabi quel
risalto e quel sostegno che credeva di avere che poi era il primo vero
obbiettivo della rivolta. Anche sui social media il sostegno maggiore
alla intifada palestinese è arrivato da gruppi occidentali formati più
che altro da anti-israeliani o da musulmani occidentali, gente a cui
importa poco della Palestina ma che si muove prettamente in
configurazione anti-Israele a prescindere da quale sia il mezzo.
Caos palestinese
Un’altra cosa che ha evidenziato con
chiarezza questa supposta terza intifada è il caos che regna all’interno
dei movimenti palestinesi. Abu Mazen è politicamente in rovina, se si
andasse al voto oggi non arriverebbe a prendere il 20% dei voti (a stare
larghi). Al Fatah ha paura di Hamas che però ha anche lui al suo
interno le sue belle faide e i suoi nemici, a partire dalla Jihad
Islamica e dai gruppi salafiti fino alle divisioni interne tra gli
irriducibili e i possibilisti sulle trattative con Israele. Ad Hamas,
checché se ne dica, mancano le armi e i mezzi per ricostruire la sua
struttura del terrore. L’Egitto gli sta facendo una guerra spietata,
molto più spietata di quella che sta facendo Israele. I fondi dai Paesi
arabi del Golfo non arrivano più e persino Qatar e Arabia Saudita
pensano più alla ricostruzione e allo sviluppo di Gaza che al riarmo di
Hamas.
La terza intifada doveva essere l’occasione per riavere il
sostegno arabo movimentando le folle, un sostegno che però si è
dimostrato molto freddo al di la delle dichiarazioni e delle parole. E
non è andata molto meglio alla Jihad Islamica legata all’Iran che su
questa rivolta aveva puntato praticamente tutto. Le masse arabe non si
sono rivoltate contro Hamas e Al Fatah e a Israele è bastato introdurre
misure più rigide per fermare gli attentati, che chiaramente sono ancora
possibili (più che probabili) ma che non hanno messo in difficoltà lo
Stato Ebraico come gli jihadisti iraniani credevano. Su questo pesa
molto la saggia decisione di Netanyahu di non esasperare i toni con
misure troppo dure o reazioni troppo violente.
Ancora tutto è possibile, in un momento
come questo basta un cerino per scatenare un incendio, ci saranno ancora
rivolte e attentati, ma per ora (e sottolineo per ora) la grande
intifada palestinese rimane una utopia sfruttata solo dai media
occidentali mentre in Giordania sono ripresi i colloqui tra arabi e
israeliani per trovare una soluzione più o meno stabile e duratura alla
questione palestinese.
Scritto da Maurizia De Groot Vos
FONTE: RightsReporter
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