Ormai
sono molti i popoli nel mondo che vedono calpestati i loro diritti
umani da governi che non vogliono, e la gran parte di questi è insorta
chiedendo con forza che sia rispettata la dignità delle persone, la
libertà di espressione, il diritto alla propria cultura, il diritto a
vivere una vita senza dittatura, senza repressione, una vita tranquilla
con un lavoro e una famiglia, con la sicurezza per il benessere proprio e
del Paese...
E' sulle ultime storie dei popoli vs governi che ho deciso di postare in questi giorni. Non andrò a ritroso nel tempo perché lo scopo è quello di evidenziare quanto le proteste - nel "post-globalizzazione" - accomunano un popolo all'altro. Mentre invece la storia di ogni Paese è a se (...)
articolo estrapolato da www.ilpost.it/2013/06/19/brasile/
Martedì 18 giugno 2013, per il sesto giorno consecutivo ci sono state in Brasile violente proteste e scontri con la polizia. Le manifestazioni più grandi si sono svolte a San Paolo, Rio del Janeiro e Belo Horizonte, le tre città in cui si concentra il potere economico del paese, ma sono stati organizzati cortei con migliaia di persone in almeno altre trenta città più piccole. Oltre a danneggiamenti di banche, macchine e autobus ci sono stati anche dei saccheggi in alcuni negozi.
A San Paolo, dove hanno avuto inizio le proteste, circa 50mila persone hanno partecipato a una marcia pacifica per il centro della città, lungo Avenida Paulista. Dopo 4 ore di corteo, passando davanti alla sede del comune, un piccolo gruppo ha iniziato a lanciare pietre contro le porte e le finestre del palazzo, cercando di entrare. Nel frattempo, altri gruppi hanno dato fuoco a un camioncino del canale televisivo Record, danneggiato la filiale di una banca e saccheggiato diversi negozi. Alcuni gruppi di manifestanti si sono ritrovati anche fuori dalla residenza del sindaco Fernando Haddad. Gli attivisti sono stati respinti dalla polizia, che ha usato gas lacrimogeni. Secondo le prime informazioni, almeno otto persone sono state arrestate e negli scontri sono rimasti feriti anche due poliziotti.
Una serie di manifestazioni di protesta si sono svolte anche a Belo Horizonte, Rio de Janeiro e in altre città del Brasile. A Florianópolis, nell’isola di Santa Catarina, nel sud del paese, circa 10mila persone hanno bloccato il ponte di accesso alla città. A Juazeiro do Norte, a est, 8mila attivisti hanno marciato e impedito al sindaco di uscire dalla filiale di una banca. A São Gonçalo, vicino a Rio, erano presenti almeno 5mila attivisti, e anche qui ci sono stati scontri con la polizia e danneggiamenti a edifici e macchine.
Le proteste sono iniziate a San Paolo all’inizio di giugno contro l’aumento di circa il 7 per cento dei prezzi dei trasporti pubblici. Le manifestazioni si sono ben presto diffuse in tutto il paese e sono diventate più partecipate (e violente) con l’inizio della Confederations Cup, il torneo di calcio tra squadre nazionali che si disputa l’anno prima dei Mondiali. Porto Alegre, Recife e altre città del Brasile hanno già annunciato che non aumenteranno i prezzi di bus e metro, ma le richieste degli attivisti si sono ampliate: lotta contro la corruzione, miglioramento della sanità e dell’istruzione, oltre ad una forte critica per le spese sostenute dal paese per l’organizzazione dei Mondiali del 2014: circa 11 miliardi di euro che, sostengono, avrebbero potuti essere impiegati diversamente.
Molti hanno iniziato a chiedersi quali siano le vere motivazioni che hanno spinto così tante persone a protestare contro il governo brasiliano, visto che fino a poco tempo fa il Brasile era considerato una delle economie nel mondo più in espansione, e con grandi margini di crescita. A uno sguardo superficiale, infatti, il Brasile sembra non avere nessuna di quelle grandi caratteristiche che spesso generano proteste di questa intensità e durata: non ha un governo autoritario né lo stato di salute della sua democrazia sembra essere in pericolo, non ha una crisi economica in corso. Anzi, il Brasile in questi anni è stato spesso considerato uno dei paesi con l’economia più in salute del pianeta, la B dell’acronimo BRICs che insieme a Russia, India e Cina rappresenta il gruppo delle superpotenze emergenti.
Secondo diversi osservatori, le centinaia di migliaia di persone che stanno protestando da quasi una settimana appartengono alla classe media, cioè quella parte della società brasiliana che ha beneficiato maggiormente della grande espansione economica dell’ultimo decennio e che ora si aspetta di vedere soddisfatte le proprie aspettative sulla qualità della vita. La contrazione dell’economia degli ultimi due anni ha provocato diversi effetti molto negativi sulla classe media. Per prima cosa, c’è stato un aumento molto significativo dell’inflazione: secondo quanto riferito il 10 aprile dall’agenzia statistica brasiliana IBGE, negli ultimi 12 mesi l’inflazione è stata del 6,6 per cento, e il settore alimentare è quello in cui l’aumento sembra avere avuto maggiore impatto. Un caso di cui si parlò molto ad aprile fu quello dei pomodori brasiliani costosissimi, 5 euro al chilo, che aveva provocato anche diverse proteste tra la popolazione e alcuni politici in parlamento.
Inoltre, molti brasiliani credono che i soldi – tanti soldi – spesi per la costruzione degli impianti sportivi potessero essere usati per migliorare le pessime condizioni in cui si trovano molte scuole e ospedali del paese. Questi investimenti sono stati visti come risultato di una pessima politica, che per troppi anni ha potuto fare più o meno quello che voleva senza rischiare troppo di pagarne le conseguenze a livello giudiziario. Le ricadute positive dei Mondiali e delle Olimpiadi sull’economia brasiliana, in cui sperano politici e organizzatori, arriveranno eventualmente solo dopo quegli eventi.
In questo senso, l’aumento del prezzo dei trasporti pubblici è stato il provvedimento che ha scatenato le proteste di moltissimi brasiliani: la reazione violenta della polizia ha alimentato le critiche al governo, e spinto molti giovani e appartenenti alla classe media a proseguire le manifestazioni; infine, l’attenzione internazionale sul Brasile per le partite di Confederations Cup ha rappresentato il momento giusto per far sì che delle proteste parlasse tutto il mondo.
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