di Marc Goldberg
l'autore di questo articolo |
Devo confessare che provo un singolare sentimento, di fronte alla
(scarsa) reazione suscitata nel mondo dall’assassinio di Dafna Meir.
Non sono offeso. Non sono neanche sorpreso. Sono combattuto. Combattuto
tra arrendermi del tutto e ammettere che sì, evidentemente questo è
proprio il destino che ci tocca nella vita, oppure sostenere che è tutta
colpa dell’occupazione. Combattuto tra sostenere che non importa dove
viviamo, non importa se la nostra casa si trova al di qua o al di là di
un linea immaginaria disegnata nella sabbia, oppure sostenere
esattamente il contrario.
Dafna era una persona di gran cuore. Non occorre averla conosciuta
per capirlo. Madre di quattro figli e madre adottiva di altri due, per
di più infermiera. Una donna vissuta per aiutare gli altri e morta
lottando strenuamente con l’aggressore per difendere i suoi figli. La
sua unica colpa era essere ebrea.
Dunque no, non sono offeso e non sono neanche sorpreso. Dafna non è
stata certo la prima di noi a cadere in questo modo, e non sarà
l’ultima. Il giorno dopo il suo omicidio, non molto lontano da lì una
donna incinta è stata ferita in un altro attacco al coltello. Il suo
delitto? E chi lo sa? Posto sbagliato nel momento sbagliato? Indirizzo
sbagliato? Solo un paio di settimane fa un uomo ha aperto il fuoco nel
centro di Tel Aviv. Qual era stato il delitto commesso da quei morti e
feriti? Indirizzo sbagliato? Religione sbagliata? Posto sbagliato nel
momento sbagliato?
Dafna Meir e il marito Natan |
No, non sono offeso e nemmeno sorpreso. Sono combattuto. Questa non
mi sembra una nuova intifada, quanto piuttosto una nuova normalità. Non
credo (come suggerisce il governo) che l’Autorità Palestinese sia in
qualche modo responsabile di tutto questo. Credo invece che tutto questo
non sia altro che una manifestazione dell’odio che il palestinese della
strada prova verso l’israeliano della strada. Un odio evidente sin da
prima che esistesse uno stato d’Israele. E così sono combattuto: è a
causa di Israele che gli ebrei vengono uccisi in questo modo, oppure è
Israele che è nato perché gli ebrei vengono uccisi in questo modo? Prima
che ci fosse uno stato d’Israele, gli ebrei venivano uccisi come
adesso. Solo che allora vigeva l’impunità: nella zona di residenza
coatta zarista, nei ghetti d’Europa, in Medio Oriente. Non avevamo un
esercito e un’aviazione, non avevamo sofisticati sottomarini e scaltri
servizi di spionaggio. Non avevamo una bandiera con una stella di Davide
in bella evidenza. Mentre scrivo queste parole, dei soldati ebrei sono
in giro nella notte alla ricerca dell’assassino di Dafna, alla ricerca
di un po’ di giustizia in un mondo che non ne conosce molta. Andranno di
casa in casa, i servizi di sicurezza interpelleranno i loro
informatori, i controlli ai posti di blocco saranno ancora più
meticolosi. Lo scoveremo e verrà preso. Vivo o morto.
Ma non cambierà nulla. Siamo ebrei ed è così che viviamo. Che sia in
un negozio Hypercacher di Parigi, in un pub di Tel Aviv, in una sede
Chabad a Mumbai o in un insediamento in Cisgiordania, c’è sempre
qualcuno là fuori che vuole ucciderti. E se desiderano la tua morte più
di quanto desiderino la loro vita, allora hanno buone probabilità di
riuscirci.
Settantatré anni fa, nel 1943, era in corso la prima rivolta
nell’Europa occupata dai nazisti. Non venne dai milioni di prigionieri
russi, né dalle forze della resistenza sostenute dagli inglesi. Venne
dai giovani ebrei del ghetto di Varsavia affamati, malridotti,
brutalizzati. Militarmente parlando i loro successi furono minimi.
Vennero sconfitti non appena i nazisti fecero affluire forze
sufficienti. Ma non è questo il punto. Il punto è che, mentre c’erano
uomini addestrati alla guerra fermi nei campi e nelle città in giro per
l’Europa, fu un gruppo di ebrei traumatizzati e morti di fame quello che
indicò la strada da seguire. Fu quella nostra determinazione e quello
spirito combattivo che accese il primo fascio di luce in un mondo di
tenebre.
Ora siamo un popolo libero che vive nella sua terra. I nostri nemici
possono uccidere alcuni di noi, ma non ci possono distruggere. Possono
provocarci immenso dolore, ma non ci possono sconfiggere.
Dafna è morta e non ci sarà mai più un’altra come lei. E io non sono
offeso, e nemmeno sorpreso. Sono stoico, sono ebreo. La mia
determinazione non vacilla, il mio sionismo è intatto, così come il mio
impegno verso la mia gente. Dafna è morta e non ci sarà mai più. Ma
coloro che l’hanno uccisa e celebrano la sua uccisione commettono un
errore enorme. Guardo mia moglie e mia figlia e mi chiedo se un giorno
toccherà a loro, che sia in una gastronomia kasher a Londra o in un pub a
Tel Aviv. O forse saranno loro in lutto per me. Ma poi mi viene in
mente qualcos’altro. Mi viene in mente che io sono parte di un grande
popolo, del popolo di Israele. Sono un ebreo. Oltre ad avere nemici, ho
fratelli e sorelle e amici in tutto il mondo che farebbero di tutto per
aiutarmi. Mi viene in mente che i miei padri hanno saputo sopravvivere e
sconfiggere nemici e tiranni. E non sono più combattuto. I nostri
nemici pensano che siamo deboli perché litighiamo e discutiamo. Ma io so
che è proprio perché siamo capaci di litigare e discutere e poi volerci
ancora bene, che siamo forti. E non sono più combattuto. Sono fiero.
Fiero di Dafna e della vita che ha vissuto. Fiero di essere ebreo. Fiero
dei nostri risultati e del paese che abbiamo creato. Dafna è morta, ma ‘Am Israel chai, il popolo d’Israele vive e continuerà a vivere e a prosperare. E’ così che le renderemo omaggio.
letto su: http://www.israele.net/forse-e-perche-siamo-ebrei
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