letto in Perseo-Blog venerdì, 23 novembre 2012 e subito condiviso qui
Mi ero ripromesso di scrivere questo pezzo per l’uscita del mio
nuovo romanzo che tratta il tema del bullismo ma gli eventi di questi
giorni mi spingono ad affrontare qualche demone ora, prima che la rabbia
e la frustrazione diventino un pericoloso elemento di sfogo.
La notizia arriva con un secchio d’acqua gelida, c’è questo ragazzo a Roma che si è impiccato con una sciarpa, si dice perché stanco delle continue offese, qualcuno aveva fatto una pagina facebook falsa per prenderlo in giro perché amava gli abiti rosa ( poi si è detto che è stato lo stesso ragazzo a contribuire alla creazione della pagina), un professore lo aveva ripreso perché si metteva lo smalto. Inizia il solito tam tam su Facebook, l’opinione pubblica si divide fra innocentisti e colpevolisti, si accusa la scuola, poi gli amici, poi, inevitabilmente, la famiglia.
Arriva anche l’ora del giochino “era
eccentrico ma non era gay” come se il problema sia l’essere omosessuali e
non il contesto omofobo. È storia vecchia e ci siam passati tante
volte.
Qualche anno fa scrissi di un ragazzo che si buttò dalla finestra
perché “accusato” di essere gay. A scuola lo chiamavano “Jonathan” come
quello del grande fratello. Grande clamore mediatico, le associazioni
parlarono di bullismo omofobo, poi dopo qualche giorno tutti i ragazzi a
scuola dissero che nessuno lo prendeva in giro, il (o la non mi
ricordo) preside disse che nessun caso di bullismo era mai accaduto a
scuola, poi si disse che non era nemmeno gay. Ancora una volta come se
quello fosse il problema. Alla fine venne fuori che il ragazzo aveva
problemi familiari. Punto.
Lo dico subito per non incorrere in fraintendimenti. Questo pezzo non è contro gli amici di questo ragazzo, non è contro la Concia che è andata a scuola a parlare con i ragazzi e ha affermato che il problema non è dovuto all’omofobia. Ma credo sia opportuno mettere in chiaro alcune cose prima di raccontare, ancora una volta, qualche evento del mio passato.
Non basta andare un paio d’ore a scuola, parlare con dei ragazzi spaventati e smarriti, per dire che non si è trattato di omofobia.
Non
basta dire che il ragazzo non era gay per mettere una pezza alle voci di
bullismo omofobo.
È davvero squallido cominciare a indagare nella vita
del ragazzo per permettere alla morbosità della gente di sapere se era
gay o meno.
Per quanto il problema omofobia sia presente in molte
famiglie ogni caso è un caso a sé e, per favore, basta dire che
l’omofobia non esiste e che chi si suicida perché preso di mira dai
bulli in realtà aveva solo problemi familiari.
Il bullismo esiste e ti procura delle ferite che non si rimarginano mai, che sono pronte ad aprirsi in qualsiasi momento.
Ho già raccontato di quel maglione rosa che indossavo, per me più che una maglia era uno scudo contro la cattiveria della gente. Io ero uno di quei ragazzi che metteva lo smalto alle unghie, che voleva i capelli lunghi, che indossava pantaloni stretti. Non lo facevo perché ero un eroe, lo facevo perché mi faceva sentire bene con me stesso, non capivo perché gli altri ritenessero sbagliato farlo, c’era inconsapevolezza dentro di me.
Ogni volta che mi chiamavano frocio, e avveniva ogni
giorno, la cosa mi faceva stare male ma ancora più male mi faceva stare
il non poter essere me stesso. Quindi lo facevo, indossavo il mio
maglione rosa, mi facevo la coda alta, mettevo lo smalto alle unghie.
Alle medie ero costantemente preso di mira ma c’erano giorni che ero io
ad attaccare gli altri, a prendere in giro qualche amico più debole
perché la legge era o ti massacrano o massacri e se riuscivo a spostare
l’attenzione su qualcun altro allora potevo passare una giornata senza
prendermi del frocio. Era pura utopia perché, inevitabilmente, le offese
arrivavano.
Ma se in quel momento qualche adulto mi avesse chiesto se
c’era qualche problema io avrei risposto che andava tutto bene perché mi
vergognavo, perché avevo paura del giudizio, perché non volevo ferire
mia madre o mio padre.
Alle superiori le cose sono andate peggio, oggi
ho su Facebook amiche e amici che mi prendevano per il culo allora,
qualcuno mi ha chiesto scusa e io non voglio farne una colpa a nessuno.
L’adolescenza è una specie di campo minato, se sei sfortunato e cammini
su una mina puoi anche saltare in aria.
Non ripeterò le offese che mi davano, i nomi cattivi in cui mi chiamavano, le spinte, gli sputi, a volte i pugni. Non lo farò perché ne ho già parlato.
Ma c’è una cosa che non ho mai detto e che ora mi sento di raccontare.
Nel mio passato c’è un ragazzo di 17 anni seduto sulla finestra di un palazzo all’undicesimo piano, in Germania, che voleva morire. A ben pensarci quel ragazzo è rimasto su quella finestra ben più a lungo di quel che credevo perché la voglia di morire non mi ha abbandonato per anni.
Quella sera, seduto a cavalcioni su una finestra all’undicesimo
piano, nella mia prima gita scolastica all’estero, ricordo solo di aver
pensato che se mi fossi buttato non sarebbe stato così male. Poi ricordo
la mano di un mio compagno di classe che mi tirava dentro e, subito
dopo, un pugno su una spalla che mi ha riportato alla realtà. Ma non fu
l’unica volta, spesso mi infilavo una cintura attorno al collo e
stringevo perché il dolore, la confusione e soprattutto la solitudine mi
facevano sentire niente.
In mezzo alle offese ho trovato però anche
persone che mi hanno aiutato e che mi sono state vicine, le due mie
migliori amiche.
Posso dire di non aver fatto quel salto o stretto quella cintura fino in fondo per un motivo: io volevo vivere.
Posso dire di non aver fatto quel salto o stretto quella cintura fino in fondo per un motivo: io volevo vivere.
Nonostante tutto quel dolore, nonostante le umiliazioni, sapevo che nella mia vita c’era anche altro.
È solo la mia esperienza e scommetto che molti altri ragazzi e molte altre ragazze GLBT potrebbero portare esperienze simili. Non solo noi omosessuali ovviamente. A volte sei troppo grasso/a. Altre troppo magra/o. A volte sei povero, altre non hai proprio nulla che non va ma qualche altro ragazzo ci tiene a farti sapere che non è così.
Allora
cosa sono questi ragazzi?
Devo pensare che hanno dei problemi?
Che non
lo fanno apposta?
Che non si rendono conto del male che fanno?
E dove
sono gli adulti, dove sono i “tutori” della nostra giovinezza?
Le ferite non si rimarginano. Io sono arrabbiato se penso a tutto il tempo che ho perso a sentirmi sbagliato, ad avere paura anche di me stesso, a dirmi che ero solo e che per essere così dovevo avere qualcosa che non andava. Anni. ANNI a proibirmi di amare, di fare sesso, di gioire, anni passati a chiudermi in me stesso. Sino al limite. Sino ad arrivare ancora alla scelta più difficile. Vivere o morire.
Così ho sepolto quel ragazzino e sono andato avanti. Mi lascerò tutto alle spalle, mi sono detto. Ma poi, qualche anno fa, in libreria, un ragazzino di quindici o sedici anni, per farsi grande con le sue amiche, ha urlato a un cliente davanti al settore QUEER “frocio” e io ho sentito aprirsi quelle ferite, è crollato un muro, le crepe sono diventate burroni. Era un sedicenne che con una semplice parola mi faceva sentire, io ormai trentacinquenne, con quel ragazzino che ero stato. Quel ragazzino pieno di paure con tanta voglia di morire. Non ho saputo trattenermi e sono uscite grida contro quel ragazzo che nel frattempo era corso via. Mi sentivo come incapace di controllare il mio corpo.
Il male che ti fanno non passa e ognuno di noi ha la sua storia. Se sei un diverso, di qualsiasi diversità si tratti, c’è sempre qualcuno che cerca, a volte dicendo che lo fa per il tuo bene, di schiacciarti.
Quindi vi prego, ve lo dice uno che ha ancora le ferite nell’anima, smettiamola di dire che il bullismo omofobo non esiste.
Marino Buzzi
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