Dichiarazione del Dalai Lama
Decine di migliaia di tibetani sono stati uccisi, non solo nel corso di azioni militari, ma anche singolarmente.
Li si è uccisi senza alcun processo, solo in base al sospetto di aver organizzato la resistenza contro il comunismo o di aver accumulato denaro. Li si è uccisi solo per la loro posizione e spesso anche senza alcun motivo.
Essi dovevano morire perché non erano disposti a rinunciare alla loro fede. Non sono stati fucilati, li si è abbandonati alla morte, crocefissi, arsi vivi, annegati, sono state lacerate loro le carni vive, li si è lasciati morire di fame, strangolati, impiccati, bruciati, sepolti vivi, decapitati, gli si è squarciato il ventre.
Questi crimini sono stati commessi pubblicamente, parenti e amici delle
vittime sono stati obbligati ad assistere. Testimoni oculari hanno
riferito tutto.
Uomini e donne sono stati martoriati fino alla
morte in presenza dei loro congiunti, i bambini sono stati costretti a
sparare contro i genitori.
Particolarmente
perseguitati furono i lama, accusati dai cinesi, di essere
"improduttivi" e parassiti.
I monaci sono stati umiliati in ogni modo, e
a subire torture erano in particolare i più anziani i più stimati: li
si è legati agli aratri, cavalcati come cavalli, frustati e battuti.
Altre cose sono talmente spaventose che non è possibile descriverle. E
mentre i lama venivano lentamente martoriati fino alla morte, li si
scherniva per la loro fede e si chiedeva loro di realizzare miracoli per
preservarsi dal dolore della morte.
E non è ancora abbastanza. Un gran numero di tibetani è stato incarcerato o deportato con destinazione ignota. Molti sono morti in seguito alla brutalità e alle privazioni del lavoro coatto, molti, per la disperazione e la miseria, hanno preferito darsi la morte. Nei villaggi i cui uomini si sono dati alla guerriglia, donne e bambini sono rimasti uccisi a colpi di mitragliatrice.
Migliaia di bambini in età fino a 15 anni sono stati tolti ai genitori e non sono stati più rivisti. I genitori che protestavano sono stati incarcerati o fucilati. I cinesi sostenevano che lontano dai bambini i genitori potevano lavorare meglio. Molti sono stati i bambini deportati in Cina per essere educati secondi i principi del marxismo-lenini
[...] Oltre a questi orrendi crimini i cinesi hanno messo in atto una distruzione sistematica dei nostri monasteri. Hanno ucciso i lama, hanno rinchiuso i monaci nei campi di lavoro o li hanno costretti con minacce ad interrompere il loro celibato. I monasteri ormai vuoti e i templi sono stati utilizzati come caserme o come stalle.
Io torno qui a insistere sul fatto che il mio governo e io stesso non ci siamo mai opposti alle riforme necessarie al sistema sociale, economico e politico del Tibet.
Noi non abbiamo affatto l'intenzione di dissimulare la flagrante realtà che la nostra società è molto antica e che dobbiamo introdurre delle riforme immediate nell'interesse del popolo tibetano. Infatti, il mio governo ed io abbiamo proposto diverse riforme nel corso di vari anni, ma esse sempre hanno incontrato la violenta opposizione dei cinesi, benché la popolazione le reclamasse. Di conseguenza nulla è stato fatto per il miglioramento delle condizioni economiche e sociali della popolazione.
In particolare, il mio desiderio più vivo è stato di modificare radicalmente e senza ulteriori ritardi il sistema della proprietà fondiaria, facendo acquisire allo stato, tramite il versamento di una indennità compensatrice, le grandi estensioni fondiarie che avrebbero dovuto essere distribuite fra i coltivatori. Ma le autorità cinesi hanno sempre messo, con deliberato proposito, tutti gli ostacoli possibili per impedirci di realizzare queste riforme giuste e ragionevoli. Io insisto sul fatto che, il qualità di buddhisti ferventi, noi accogliamo favorevolmente ogni cambiamento e ogni progresso con forme allo spirito del nostro popolo e alle ricche tradizioni del nostro paese.
Non di meno, il popolo tibetano ha resistito fieramente a
tale tirannia, a tali sacrilegi, a tutte le depredazioni compiute nel
nome delle riforme e di una politica che adesso è nelle mani di
rappresentati del governo cinese di Lhasa.
So di presentarvi un quadro chiaro e senza veli della situazione del Tibet. Io mi sono sforzato di dire all'intero mondo civilizzato la verità sul Tibet, questa verità che deve prevalere alla fine, così potente come possono apparire oggi le forze del male. Io tengo ugualmente a dichiarare che noi buddhisti crediamo fermamente e ostinatamente nella pace e desideriamo vivere in pace con tutti i popoli e tutti i paesi del mondo. Benché le attività e la politica delle autorità cinesi in Tibet abbiano di recente suscitato un violento sentimento di amarezza e ostilità verso il governo cinese, i tibetani laici e monaci non provano alcuna inimicizia né rancore verso il grande popolo cinese.
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